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Luca Ramacciotti – Sogetsu Concentus Study Group

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Tag Archives: Floralart Sogetsuikebana Foraldesign Forist Floristry Sogetsuryu Sogetsuschool

Da sempre appassionato (leggi goloso) di dolci non mi perdo mai una puntata di “Bake Off Italia” il talent a cui partecipano pasticceri amatoriali.

Spesso viene fuori che fanno torte multistrato, abbinamenti strani, ma quando si va a toccare le basi della pasticceria (da preparazioni come la pasta sfoglia o dolci quali i “baci di dama”) loro crollano. Come mai? Perché sai fare dolci visivamente belli, ma che hanno sostanziali problemi tecnici? Perché nella nostra torta multistrato il pan di spagna è asciutto o la crema è piena di grumi?

Questo rispecchia un po’ il modus operandi che abbiamo nell’approcciarsi a tutto ikebana compreso. Nella nostra smania dei like, di dimostrare che siamo artisti e creiamo cose fighe, ci scordiamo della solidità delle basi e spesso, che è pure peggio, ne cambiamo l’aspetto tecnico. E’ come se non si sapesse che l’albero proviene dal seme e si volesse subito creare un perfetto bonsai.

Porto un esempio pratico: il morimono. Questa particolare composizione a noi occidentali può sembrare “banale”, ma se pensiamo al valore (e all’alto costo) che ha la frutta in Giappone già l’analizzeremo con occhio diverso e comprenderemo che significato avesse quello di offrire agli ospiti, venuti a trovarci, un vassoio di frutta ben disposto.

La scuola Sogetsu prevede l’utilizzo di: frutta, vegetali, foglie, bacche o frutti rotondi e radici. Quindi se io eseguo una composizione che ha uno solo di questi elementi o parti di frutta tagliata NON E’ un morimono. E qui ahimé subentra il famoso free-style che è il “refugium peccatorum“, la torta multistrato dei pasticceri di Bake Off. In nome del free style noi ci scordiamo degli elementi basici dei vari temi.

Se realizzo temi quali Miniature ikebana (per cui sono previsti almeno 5 ccontenitori non più alti di 6 cm non posso farlo con 1 solo vaso e, magari, di altezza superiore), devo sapere la differenza tra temi quali Composition of Surface Made by using leaves o Whit leaves only, non possiamo sbagliare lezioni quali Color of container o Glass Containers perchè non abbiamo letto il libro di testo o non lo ricordiamo.

Il free style prevede che tu crei l’ikebana senza schemi, ma ogni tema ha una sua regola di base da seguire e inoltre se facciamo, per esempio, Glass Containers non ci sarà materiale fresco e secco o non convenzionale perché sono altri temi, sennò la nostra torta potrebbe avere troppi sapori che si annullano gli uni con gli altri.

La giusta trasmissione di un’arte è fondamentale, come il conoscerne esattamente le basi e la storia.

Questo per me è molto importante ed è il motivo per cui nel 2020 (son già passati due anni!) assieme ai maestri Romilda Iovacchini (Ohara), Regi Bockhorni (Ikenobo) e Ingrid Galvagni (Wafu) realizzamo il primo ebook dedicato a 4 scuole di ikebana editato in italiano e in inglese (in vendita su Amazon). Volevamo che le persone capissero bene cosa fosse l’arte dell’ikebana attraverso l’esempio di quattro scuole perché spesso i libri di ikebana sono dedicati a una sola scuola mentre a noi interessava il percorso storico e culturale. Ricordo che pur conoscendoli a memoria rilessi tutti i libri di testo proprio per essere sicuro di non dare mie interpretazioni dei temi.

Rammentiamoci che è l’ikebana la protagonista non il nostro proprio ego.

Se ho dubbi chiedo sempre alla mia insegnante Mika Otani perché insegno a nome della scuola Sogetsu non a nome mio e la correttezza e l’onestà per me sono valori fondamentali.

Per questo amo molto comunicare anche attraverso questo blog o il mio recente podcast (sicuramente il primo in Italia, non so se ce ne sono altri in Europa) che trovate all’indirizzo: Ikebana Sogetsu.

Concentus Study Group

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“Ikebana” ovvero “la via dei fiori”. Ma anche dei frutti, che sono spesso parte integrante dei rami con cui si costruiscono gli Ikebana. Uso il termine “costruzione” per scelta, poiché ogni Ikebana, trattandosi di una pratica zen, da un lato è basato sulla spontaneità e unicità del momento creativo, dall’altro – come ogni altra pratica artistica giapponese – è fondato su codici e regole ben precise, tra cui quella dell’utilizzo di fiori e frutti rigorosamente locali e di stagione, in base a dove ci si trova quando si realizza una composizione.

Vivendo da oltre 13 anni in Israele, in questi anni ho imparato ad apprezzare l’amore del suo popolo per i frutti della terra, che si manifesta nel corso di ogni festività ebraica, dove ad ogni ricorrenza è associato un frutto specifico. Spesso più d’uno.

Secondo il calendario ebraico quest’anno si festeggia l’anno 5783, che non coincide affatto con lo scadere del 31 dicembre – come nel resto del mondo – ma in una data che, per via del calendario lunare, varia di anno in anno tra l’inizio di settembre e l’inizio di ottobre. La luna e la sua influenza sui raccolti, infatti, ha da sempre scandito le festività del popolo ebraico. E col l’avvicinarsi del plenilunio di autunno si celebra Rosh ha Shana, letteralmente “il capo dell’anno”.

Per cominciare l’anno in un modo “dolce”, la cena di Capodanno prevede largo utilizzo di mele, melograni e datteri – spesso sotto forma di miele di dattero – sparsi in numerose pietanze dall’antipasto al dessert. I datteri, secondo tradizione, allontanerebbero la cattiva sorte, il che spiegherebbe perché, ancora oggi, vengono serviti anche durante il Capodanno cristiano.

Il melograno, invece, per via della ricchezza dei suoi grani, è simbolo di abbondanza e prosperità, ma anche di fratellanza e correttezza, dato che secondo la tradizione il suo frutto conterrebbe 613 semi, come le 613 prescrizioni scritte nella Torah, osservando i quali si ha un comportamento giusto.

Il melograno raggiunge una grande carica simbolica nel libro biblico che canta lo splendore dell’amore: il Cantico dei Cantici, dove è simbolo dell’amore fecondo e dell’intensa relazione tra i due amati. La bellezza dell’amata, colma di vitalità, è così descritta: “come spicchio di melograno è la tua tempia dietro il tuo velo” (cfr. 4,3.; 6,7). Persino nel giardino, luogo dell’amore, fioriscono i melograni. Lo sposo che cerca la sposa va a vedere se nel giardino sono sorti i germogli (cfr. Ct 6,11). Anche per questo motivo in molti studiosi sostengono che per tentare Eva le venne offerta non una mela, bensì un melograno.

Del melograno, così come del dattero, si parla nel Deuteronomio come una delle Sette Specie di Israele: i frutti che la terra produce in abbondanza, garantendo la vita del suo popolo: “la terra donata da Dio è ricca di frumento, orzo, uva, fichi, melograni, ulivi e datteri” (Dt 8, 8).

Non sorprende che la palma di dattero sia uno dei protagonisti di un’altra importante festività ebraica che segue il Capodanno ebraico: Sukkot, letteralmente, la festa delle “capanne” costruite per commemorare il periodo nel deserto dopo l’Esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la Terra Promessa.

Per questa ragione, ancora oggi, durante settimana di Sukkot, che di solito si tiene tra la fine di settembre e la fine di ottorbe, si usa costruire una capanna nel giardino di casa o in terrazzo, dove invitare amici e parenti per cena e in cui spesso i bambini si fermano a dormire in sacco a pelo di notte.

La palma viene utilizzata per coprire il tetto della capanna mentre sulla tavola della cena, come elemento decorativo, non mancano mai cedro, mirto e salice che, assieme alla palma, sono i 4 elementi del “lulav”, il fascio di rami utilizzato per la preghiera speciale dedicata alla festività di Sukkot, che inizialmente era una festa a carattere agricolo, tanto che coincide ancora oggi con il plenilunio di autunno e la cui preghiera si configura come un ringraziamento per i frutti del raccolto.

Secondo alcune interpretazioni le quattro specie rappresentano i diversi caratteri umani: la palma dà frutti dolci e nutrienti ma non ha profumo come coloro che compiono buone azioni più per senso del dovere che per altruismo; il mirto ha profumo ma non dà frutti come chi parla molto ma non fa nulla per trasformare le parole in azioni; il salice non dà né profumo né frutti come coloro che non compiono buone azioni e sono privi di interesse per gli altri; il cedro dà frutti buoni e nutrienti e perfino i suoi rami profumano come chi aiuta il prossimo sia con le buone azioni, sia con il cuore, rappresentato dal cedro stesso.

Utilizzando cedro, mirto, palme e camomille per la composizione di Sukot e melograno, datteri e crisantemi per Rosh ha shana, ho cercato dunque, utilizzando tutti gli elementi di queste due festività così vicine e uniche, di esprimere il mio amore per la terra di Israele e per i suoi frutti: un amore di tipo universale, come è l’insegnamento dell’Ikebana, che, prima ancora di diventare un omaggio dei monaci a Buddha nasce come rituale Shinto, un omaggio alla visione olistica della Madre Terra e di tutti i suoi frutti.

Con questo insegnamento, auguro a tutti di cominciare questo nuovo anno nel rispetto di ciò che la Terra ci regala ogni giorno e che sta a noi tutti preservare e curare. Tutto l’anno.

Concentus Study Group

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Tempo fa avevamo ricevuto l’invito dalla maestra Veena Dass Director Sogetsu School New Delhi (coaudiuvata da Saveena Gadhoke – Assistant Director Sogetsu School Delhi) di tenere una dimostrazione online per i 70 anni di rapporti diplomatici tra Giappone e India. La proposta ci ha fatto molto piacere quanto tremare le vene nei polsi perché in diretta mondiale avremmo dimostrato ciò che abbiamo imparato nel corso degli anni di questa arte che tante soddisfazioni ci ha donato.

Sinceramente la signora Veena Dass ci ha seguito nell’organizzazione in maniera molto presente e gentile aiutandoci a coordinarci e decidendo il tema ovvero “Italian Late Summer” perché ufficialmente l’estate sta per terminare con l’equinozio del 23 settembre prossimo anche se le temperature (e l’umidità) sono ancora alte.

Con Lucio abbiamo optato per i materiali e i fiori di stagione per far meglio comprendere come sia la natura in questo momento in Italia e che lui avrebbe fatto tre ikebana e io due perché, come si sa, l’esposizione al pubblico mi vede sempre reticente abituato come sono a vivere nelle quinte teatrali.

Oggi era il gran giorno e, sinceramente, ero molto agitato perché sentivo la responsabilità di rappresentare la Sogetsu italiana assieme a Lucio e soprattutto non avrei voluto far fare brutta figura alla nostra maestra Mika Otani che ha sempre mille attenzioni nei nostri riguardi.

Siamo stati introdotti dalla signora Dass e poi è iniziata la dimostrazione che a me è sembrata fuggire in un lampo mentre invece è durata 1ora e 27 minuti. Al termine i saluti anche con il rappresentante dell’Ambasciata del Giappone in Idia le cui parole ci hanno davvero molto emozionati.

Il tempo di pulire lo spazio dove abbiamo realizzato la dimostrazione, scaricato l’adrenalina ed eccomi con il mio post…. ancora mi sembra impossibile che abbiamo mostrato il nostro percorso a tutto il mondo, ma è il bello dell’arte: creare ponti.

Grazie a Jaana Pirhonen per gli screenshot e per gli amici, le allieve e le maestre del nostro gruppo che ci hanno seguito e mandato feedback. La dimostrazione è visibile sul gruppo Facebook “Ikebana Sogetsu Delhi

Ikebana di Lucio Farinelli – suiban di Luca Pedone – foto di Luca Ramacciotti
Ikebana di Luca Ramacciotti- Coppa in vetro di Iittala – foto di Luca Ramacciotti
Ikebana di Lucio Farinelli – vaso di Akira Satake – foto di Luca Ramacciotti
Ikebana di Luca Ramacciotti- Vaso di Sebastiano Allegrini – foto di Luca Ramacciotti
Ikebana di Lucio Farinelli – vaso di Magda Masano – foto di Luca Ramacciotti

Grazie davvero a tutti, è bellissimo fare ikebana circondati da amici.

Concentus Study Group

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I partecipanti al workshop con Matteo Raciti e Maria Pia D’Anna

Tendenzialmente da sempre tendo a unire le mie passioni per cui era da un po’ di tempo che volevo realizzare un workshop sulla cartapesta per due motivi: il primo e il più ovvio è che sono cresciuto in mezzo al Carnevale di Viareggio mentre il secondo è per il “culto” che il Giappone ha verso la carta.

Già in occasione del workshop di Mika Otani (2019) come materiale non convenzionale utilizzammo, tra le varie cose, i pezzi di una costruzione carnecialesca (i primi al mondo a farlo), ma desideravo fare un passo in più.

Nel frattempo tra le nuove leve del Carnevale viareggino stava crescendo in maniera molto interessante Matteo Raciti. Matteo ha una grande passione proprio per il tema “carta” per cui era l’ideale per portare a termine il progetto che avevo in mente. Rimaneva il problema che un vaso di cartapesta non può contenere acqua. Che fare?

Il famoso motto socratico “io so di non sapere” l’ho sempre ben presente in mente per cui se un tema mi interessa non mi improvviso, ma cerco un esperto che mi faccia crescere personalmente per cui posi in mano a Raciti il problema perché, per me l’unca soluzione era di creare un vaso e poi trovare un contenitore di vetro o plastica da porre dentro. Qui la differenza tra chi conosce e chi non una materia. Raciti mi fece notare che sarebbe stato difficile trovare un contenitore adatto ai vari vasi creati per permettere ai partecipanti di realizzare un ikebana al termine del workshop dato che ognuno doveva avere la possibilità di sviluppare liberamente un proprio progetto.

Gli lasciai carta bianca e quando trovò la soluzione iniziammo a pubblicizzare il workshop e devo dire l’idea piacque sia perché i posti si sono esauriti abbastanza velocemente (solo 12 perché Matteo ci teneva a seguire bene ogni partecipante) sia perché, dopo aver pubblicato la locandina dell’evento, diversi maestri di ikebana improvvisamente si sono reinventati creatori di vasi con vari materiali (compresi una specie di poltiglia di carta e colla)… ma ricordate il motto di Socrate di prima….? Ecco io amo avere la sensazione di essere vuoto e venir riempito di nozioni e tecniche che non conosco, non mi improvviso. Sono come un vaso che aspetta di venir colmato.

Matteo, grazie all’Associazione Recuperarti non solo trovò una perfetta sede, ma anche il mcguffin per risolvere il problema acqua. Ma andiamo per ordine.

Il 2 mattina con i vari partecipanti (oltre a me e al Maestro Farinelli c’erano Ursula Altenbach, Silvia Barucci, Giusi Borghini, Natalia Calderon, Cristina Dagestad, Patrizia Ferrari, Ilaria Mibelli, Elena Palade, Silvia Pescetelli e Daniela Anca Turdean) ci siamo trovati nell’hangar del carnevale dove lavora Matteo. Era presente ancora il lavoro dello scorso anno, ma abbiamo potuto avere un assaggio anche del prossimo. Raciti ci ha illustrato il lavoro di un artista del Carnevale, guidato al Museo e allo spazio espositivo (dove c’è anche il suo Gulliver) donandoci preziosi dettagli, nozioni e curiosità.

Il pomeriggio abbiamo iniziato il workshop ed ecco la soluzione ideata da Raciti: ognuno di noi ha scelto liberamente uno dei molti flaconi, bottiglie o altro recipiente in plastica a disposizione ovvero tutto materiale di recupero che sarebbe stata l’anima del nostro vaso. Quindi il problema acqua veniva eliminato.

Ma come trasformarlo?

Matteo ci ha fatto vedere come avremmo potuto cambiare la forma a ciò che avevamo scelto dando anche materiale, sempre di recupero, come gli appendi abiti in ferro. Quindi ci siamo messi tutti all’opera dopo aver disegnato la nostra idea in modo che Raciti ci desse i giusti consigli per realizzarla. Come tutte le volte che mi approccio a una materia nuova mi sono totalmente affidato all’insegnante sempre per il precetto socratico sopra riportato. Ho esposto la mia idea e seguito le sue istruzioni.

Quando tutti abbiamo compiuto questo primo passo di modifica di uno o più contenitori è stato il momento di preparare la colla per la cartapesta e di imparare come si realizzano i vari strati. Quindi abbiamo iniziato ad applicare i minuscoli frammenti di carta sul nostro vaso in nuce pensando a quanto lavoro ci sia su una figura carnecialesca utilizzando quel metodo.

Il sabato mattina Raciti ci ha portato a visitare il Museo dei Bozzetti spiegando le varie fasi di realizzazione delle culture. Come dal bozzetto si passa al modello, a come ricavare le misure e nei casi dei bronzi stampi e fusioni. Poi abbiamo fatto un salto nella galleria dove espone le sue strabilianti e particolari scultre, i quadri dall’uso personalissimo e poetico dei colori (il blu!) e di monili in bronzo davvero innovativi.

Il pomeriggio abbiamo continuato il lavoro andando ad applicare sul lavoro del giorno prima varie tipologie e strati di carte che erano a nostra disposzione con un’incredibile scelta di tipologie di carte e colori. Avrei voluto usarle tutte!

Un lavoro di pazienza che rasserenava l’animo dato che il pensiero era lì e non disperso in altre problematiche della vita. Se non si ha la mente serena e libera di pensieri non faremo mai bene un’arte.

Il terzo e ultimo (ahimé) giorno abbiamo realizzato nei nostri vasi gli ikebana che il fotografo professionista preposto ovvero Angelo Paionni ha immortalato. Anche lì abbiamo avuto un’ulteriore lezione dato che ha dimostrato con mezzi improvvisati come fare delle belle fotografie. La sapienza in un campo.

Vaso e ikebana di Silvia Barucci
Vaso e ikebana di Giusi Borghini
Vaso e ikebana di Natalia Calderon
Vaso e ikebana di Cristina Dagestad
Vaso e ikebana di Lucio Farinelli
Vaso e ikebana di Ilaria Mibelli
Vaso e ikebana di Elena Palade
Vaso e ikebana di Silvia Pescetelli
Vaso e ikebana di Luca Ramacciotti
Vaso e ikebana di Daniela Anca Turdean

Ma c’era anche una sorpresa per tutti da parte dei Raciti… ovvero farci apprendere come viene realizzato uno stampo in gesso.

Ognuno di noi ha avuto un blocco di argilla per ideare un vaso. Ci ha spiegato come fare questo stampo “positivo”, quali dettagli poter mettere in evidenza e quali si sarebbero invece persi oppure avrebbero potuto costituire un problema al momento del colaggio del gesso che ci ha insegnato a preparare.

Ottenuti gli stampi “negativi” ci ha insegnato a ricreare il positivo con la tecnica della carta pesta.

3 giorni intensi allietati da persone meravigliose, vecchi e nuovi amici e belle cene.

Finalmente un workshop (e internazionale) dal vivo dopo 3 anni di pandemia e la felicità di aver incontrato anche un’altra allieva della nostra maestra Mika Otani.

Per me l’ikebana sarà sempre e solo questo. Condividere esperienze con amici e non “limitarsi solo” a fare una composizione floreale, ma, proprio come fa la Sogetsu, inglobarvi tutto ciò che è arte.

Workshop come questo che Raciti ci ha ideato sono preziosissimi per la crescita di un ikebanista perché non solo abbiamo avuto degli imput su come creare un vaso, ma nozioni importantissime di tecnica che potremo riapplicare in vari contesti.

Ringrazio quindi lui e Maria Pia (voce inglese, collaboratrice, social menager, ma soprattutto simpaticissima) per come hanno organizzato e ideato il tutto perfettamente; Matteo ha saputo spiegare tutto con esempi “semplici” e chiari facendoci davvero apprendere bene e con una generosità di nozioni davvero impressionante.

Ringrazio soprattutto coloro che hanno compreso l’importanza di questo workshop aderendovi e andando subito a riempire i pochi posti disponibili.

Per l’occasione abbiamo anche effettuato la consegna dei diplomi da maestre a Silvia Pescetelli e a Daniela Anca Turdean.

Le fotografie e i video di questo articolo sono stati realizzati da Ursula Altenbach, Natalia Calderon, Angelo Paionni, Daniela Anca Turdean e dal sottoscritto.

Concentus Study Group

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Quando nel 2005 iniziai lo studio dell’ikebana a malapena si sapeva cosa fosse internet figuriamoci i social media.

All’epoca c’era Flickr e lo salutai con gioia perché mi diede la possibilità di entrare in contatto con altri ikebanisti Sogetsu di tutto il mondo dato che all’epoca in Italia eravamo quattro gatti sapruti e dei dintorni di Roma (a volte quando penso che noi abbiamo allievi che hanno poi creato dei loro punti di insegnamento a Merano, a Venezia, in Svizzera, in Toscana, in Romania e, prossimamente, a Ivrea e in Israele mi pare impossibile!).

Per me lo sviluppo dei social era una cosa positiva proprio per scambio di idee e vedute e in fin dei conti abbiamo così conosciuto la nostra insegnante Mika Otani e molti altri valenti colleghi.

Quello che non avevo messo in conto che le persone avrebbero solo cercato di mettere su una vetrina senza che dietro vi fosse nulla di valore.

L’importante è pubblicare, pubblicare, pubblicare ed avere like e followers.

Se quello che pubblichiamo non è corretto ci importa poco in confronto ai 400 like messi dalle persone che magari sono le stesse che le mettono anche a quello che batte una sederata in terra…

Ci si sente autorizzati a pubblicare qualsiasi cosa soprattutto se ci siamo fatti conoscere.

Si spaccia per ikebana cose che nemmeno sarebbero degne di flower arrangement o figli generati dal tritatutto e dall’attack.

Più la cosa è strana o fatta male, piatta, senza estetica e più piace perché ci pare che anche noi si possa farla senza tanti sforzi.

Ci lodiamo pubblicamente che stiamo studiando ikebana e non se ne conoscono realmente stili o tecniche, nei gruppi su Facebook si spacciano per ikebana cose sterili di persone che non sono mai andate a lezione.

Circoli viziosi di amici che si mettono i like a vicenda.

E in tutto questo dove è la vera arte dell’ikebana? Il sentiero dei fiori?

E’ la sfuocato in lontananza dietro all’apparire.

Ci basta dire che stiamo rappresentando una scuola, fare la coda di pavone e pubblicare esercizi di art attack che poi al 90% dei casi sono sempre uguali con piccole variazioni.

Se non altro è passata la mania di spacciare per ikebana delle piramidi di forchette incastrate tra di loro, ma per il resto lo sconforto è immenso.

Di recente ho visto massicci esercizi di roba vegetale ammucchiata senza senso, senza profondità, senza un’idea precisa e altri con materiali messi a casaccio assieme da, probabilmente, persone daltoniche.

Mi chiedo cosa me lo faccia fare ancora di insegnare alle allieve cercando di dar loro quei principi base importanti, quelle correzioni se il fine è solo quello di pubblicare una foto che sia corretta o meno o con l’inquadratura giusta?

Abbiamo deciso di realizzare un workshop con un esperto artista della cartapesta e si son visti subito maestri correre a dimostrare che anche loro sanno costruire vasi con materiali non ceramici e… non ho visto nulla di soddisfacente perché non è possibile che tutti sappiano fare tutto per quello noi collaboriamo con professionisti del settore.

Però è stancante perché ormai è la battaglia delle Termopili.

Non si fa ikebana per portare la bellezza e la poesia nella propria vita o un guizzo di creatività.

Lo si fa per la coda da pavone o per guadagno pecuniario scrivendo ovunque i cartellini dei prezzi come si fosse al supermercato.

Peccato.

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La citazione completa (di Shunryu Suzuki) che da il titolo a questo mio post è: Il vero segreto dell’apprendimento è avere sempre una mente da principiante perché nella mente di un principiante ci sono molte possibilità, nella mente di un esperto, poche.

Questa frase mi rimbalzava in mente in questi giorni dove ho dovuto pensare e creare 9 diversi ikebana per le due dimostrazioni che mi hanno visto impegnato a Firenze  e a San Marino. La difficoltà non è stato tanto idearle, quanto cercare di comprendere come potessi far arrivare al pubblico il messaggio di cosa fosse l’arte dell’ikebana e soprattutto le caratteristiche della Sogetsu. Fare una “cosa strana” può sì colpire l’immaginario del pubblico, ma io volevo che, seppur velocemente, si addentrasse nello spirito dell’ikebana.

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Mi sono chiesto se io spettatore ignaro, probabile interessato al Giappone o alle arti orientali avrei trovato ciò che esponevo chiaro per comprendere un’arte spesso stravolta da gente che si improvvisa senza aver mai preso una lezione o articoli inesatti che si leggono online o sui giornali. Per questo ho introdotto, utilizzando proiezioni di foto come le due qui riportate, anche termini come wabi-sabi o hananokokoro proprio per spiegare le peculiarità di una cultura e il perché l’ikebana si sia sviluppato proprio in quella nazione.

Dopo i 5 livelli effettuati per diventare maestro ho continuato a prendere lezioni, quando vado all’estero per lavoro se c’è un insegnante della Sogetsu chiedo sempre di avere una lezione perché amo davvero molto quest’arte, cerco di impararne il più possibile, voglio diversi imput e poi sento la responsabilità verso chi viene a lezione da me. Non posso insegnare cose inesatte o non saper rispondere a domande teoriche o pratiche degli allievi.

Devo dire che in questo Lucio Farinelli (che insegna con me a Roma ed organizza il nostro corso) la pensa esattamente come il sottoscritto ed è per questo che abbiamo sempre studiato e compiuto ogni passo assieme.

Una volta parlando con un’insegnante discutevo perché per lei era importante il talento in quest’arte ed io invece sostenevo che era importante la sicurezza tecnica. E’ ovvio che ci volgiono entrambi gli aspetti, ma senza una sicurezza tecnica si va poco avanti. Su questo insisto con le mie allieve fino allo sfinimento (loro lo so 🙂 ), ma se un giorno faranno mostre, dimostrazioni, corsi non voglio che si trovino davanti problemi che non sanno gestire. Infatti non mi ha sorpreso minimamente che nel nuovo libro del V livello della scuola (e relativo dvd di aggiornamento) si punti molto e si ripassi le tecniche di ancoraggio dei materiali nei vasi, ci siano proprio lezioni tecniche che abbiamo studiato fin dai primi passi e che  qui si rielaborano con maggior consapevolezza e anche in vasi particolari.

E qui si torna su un altro punto per me fondamentale. I vasi. Per Firenze avevo a disposizione dei vasi portati dall’Ambasciata del Giappone (mai usati, visti solo in foto per cui ho ideato degli ikebana virtualmente e solo mentre li eseguivo vedevo se le mie intuizioni erano giuste), per San Marino con Lucio abbiamo pensato quali vasi potessero dare una maggiore idea di ciò che era la nostra scuola per cui siamo andati da vasi per nageire allo tsubo, a due vasi da me ideati e realizzati allo stand.  Con Silvia Barucci abbiamo costruito ciò di cui necessitavamo per l’ancoraggio del materiale nei vasi e anche improvvisato quando abbiamo scoperto che il fornitore non aveva l’equiseto richiesto. Per cui velocemente devi riflettere, pensare cosa puoi fare, riconcatenare il materiale vegetale, i vasi, fare i giusti abbinamenti e per questo ci vuole talento, ma soprattutto tecnica ed esperienza.

Lina Alicino, la maestra che mi ha diplomato maestro, durante i cinque anni di corso richiedeva che si partecipasse a dieci eventi ed aveva perfettamente ragione. Fare solo le lezioni non basta, è importante vedere come il maestro organizza mostre, dimostrazioni, fargli da assistente, rubare con gli occhi ogni singolo movimento e gesto.

Ed io continuo a farlo con i maestri che incontro sulla mia strada. Chiedo, provo, riprovo ogni passaggio perché non mi so accontentare,  non mi voglio accontentare. Non voglio dire che più di quello non posso o non so fare.

Ogni step raggiunto l’ho visto come una partenza non un traguardo ed ogni cosa che realizzo la vedo con gli occhi del principiante, chiedendomi come il pubblico potrebbe interpretare il mio lavoro. Nel saluto finale del dvd di aggiornamento (già citato), la Iemoto appunto dice di vedere come i nostri lavori collimino con le persone che non conoscono quest’arte, cosa comunichiamo loro.

E la comunicazione, per me, è la base dell’essere sociale sia che sia verso la natura (hananokokoro) sia verso altre persone.

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Il titolo di questo post è il “motto” dell’Associazione Ikebana International di cui io ideai, poi coaudiuvato nella fondazione da Lucio Farinelli e Silvana Mattei, la fondazione del Chapter di Roma. E proprio come esponenti di questa associazione delle scuole da noi rappresentate il sottoscritto e Romilda Iovacchini siamo stati invitati dall’Ambasciata del Giappone in Italia e dall’Associazione San Marino – Giappone a illustrare il mondo dell’ikebana nella Sala Congressi del Grand Hotel San Marino.

Lavorare, collaborare, con Romilda è sempre un piacere perché davvero c’è amicizia e rispetto attraverso l’arte dei fiori pur essendo lei maestra da più tempo di me e con, quindi, maggiore esperienza. Però lavoriamo “pari grado” scegliendo la linea di conduzione della conferenza, le tipologie di ikebana da fare ed altro. Pura armonia e rispetto reciproco.

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(da sinistra Romilda Iovacchini, Luca Ramacciotti e il Dott. Nishida Daisuke dell’Ambasciata del Giappone in Italia – foto di Lucia Urbini)

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(da sinistra Romilda Iovacchini, Luca Ramacciotti e il Dott. Leo Achilli Console Generale Onorario del Giappone presso la Repubblica di San Marino – foto di Lucia Urbini)

Romilda in entrambi gli appuntamenti della giornata ha fatto una bella introduzione storica dell’arte dell’ikebana e della sua scuola Ohara e tre composizioni, poi la palla passava al sottoscritto che spiegava le peculiarità della scuola Sogetsu, il suo rapporto con l’arte moderna e contemporanea e poi eseguivo anche io tre composizioni.

In realtà a volte, anche per le domande del pubblico presente molto interessanti e particolari, si interveniva entrambi anche per sottolineare dei concetti che sono comuni ad entrambe le scuole (dal vuoto, al movimento, al rispetto dell’elemento naturale, alle stagioni, al kenzan che non può mai essere a vista). Abbiamo parlato delle tipologie di contenitori, di cosa sia l’ikebana odierno e il suo rapporto con gli spazi in cui viene collocato.

Ed abbiamo ben specificato, al di là di comporre gli ikebana al contrario in dimostrazione affinché il pubblico veda la parte frontale durante la lavorazione, che l’ikebana viene svolto con più calma, meditazione, rilassatezza, ma che abbiamo cercato di dare una panorama dei dettami delle nostre rispettive scuole.

(foto di Silvia Barucci e Lucia Urbini)

(Foto di Silvia Barucci e Romilda Iovacchini)

Ikebana di Romilda Iovacchini (Ohara) – assistente Lucia Urbini

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(foto di Luca Ramacciotti)

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(foto di Luca Ramacciotti)

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(foto di Luca Ramacciotti)

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(foto di Luca Ramacciotti)

Ikebana di Luca Ramacciotti – Assistente Silvia Barucci

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(vaso di Sebastiano Allegrini – foto di Luca Ramacciotti)

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(vaso e foto di Luca Ramacciotti)

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(foto di Luca Ramacciotti)

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(vaso di Sebastiano Allegrini – foto di Luca Ramacciotti)

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(vaso e foto di Luca Ramacciotti)

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(foto di Luca Ramacciotti)

Un’indimenticabile esperienza in un luogo incantato, fuori dal tempo che ha visto un pubblico partecipe ed interessato.

Al termine una squisita cena giapponese.

Concentus Study Group

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Domani il Concentus Study Group rappresenterà la Sogetsu italiana… all’estero! 🙂

Infatti seppur si sia nel “cuore” dell’Italia la Serenissima Repubblica di San Marino è uno stato nello stato (cambia persino il roaming).

Sotto l’egida di Ikebana International si svolgeranno due conferenze e dimostrazioni che vedranno esplorare l’ikebana della scuola Ohara e della Sogetsu.

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Ringrazio l’Ambasciata del Giappone in Italia che ancora una volta si è rivolta a noi e sono lieto che continui questo sodalizio tra scuole di ikebana dove portiamo avanti assieme la divulgazione di questa arte.

Concentus Study Group

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(da sinistra Gioni David Parra e Luca Ramacciotti – foto di Simona Gasperini)

Nell’ambito della dimostrazione presso la Galleria degli Uffizi ho cercato, nel breve tempo a disposizione quando si toccano certi argomenti così vasti, di presentare tutte le peculiarità della scuola Sogetsu.

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(foto di Simona Gesperini)

Ho potuto attraverso slide cercare di definire la complessità dei lavori della mia scuola, di definirne la modernità pur essendo molto legata ai principi tradizionalisti di questa arte, le possibilità  infinite che la Sogetsu offre ai propri studenti.

Anche perché fare tre veloci dimostrazioni di ikebana può, alle volte, far fraintendere l’essenza calma, studiata, ponderata di questa arte.

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(foto di Simona Gesperini)

E per fortuna ho avuto persone che hanno fatto le foto al tutto (grazie!) dato che io non ho potuto né durante, ovviamente, né dopo perché sono stato letteralmente, e piacevolmente, assalito dal pubblico molto interessato ad approfondire il discorso. Alcune persone mi hanno persino chiesto come si fotografa un ikebana.

Ho iniziato parlando della stagionalità degli ikebana grazie al maze-zashi

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(foto di Fabio Uggeri)

e di come vada anche rappresentata a volte in maniera “drammatica” per sottolineare ad esempio la stagione in corso

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(foto di Fabio Uggeri)

per finire ad uno stile libero ideato in base al contenitore in dotazione.

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(foto di Fabio Uggeri)

Ringrazio l’Ambasciata del Giappone per i tre meravigliosi vasi messi a disposizione (di cui due di preziosissima lacca che non avevo mai sperimentato prima), l’Associazione Piante e Fiori d’Italia per avermi sponsorizzato il materiale floreale, Silvia Barucci per avermi fatto da assistente e avermi procurato rami perfetti.

Al termine della dimostrazione ho spostato l’attenzione su un progetto a cui tenevo moltissimo e che ho potuto presentare grazie allo scultore Gioni David Parra.

L’ikebana Sogetsu non è “solo” l’ikebana in vaso a cui siamo abituati a rapportarci, ma anche un ulteriore passo (al di là di installazioni come fatto un anno fa al MAXXI o ancor prima all’Orto Botanico La Sapienza) verso un’essenzialità ed un legame strettissimo con l’arte contemporanea.

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(foto di Simona Gesperini)

Grazie allo scultore Parra ho presentato (per la prima volta in Italia e soprattutto all’interno di un museo d’arte così prestigioso) il tema “Completing an Art Work” dove l’ikebana si va a fondere con un’opera d’arte (in questo caso Nocube e Blade Lights) divenendo un’unica, nuova opera artistica (e per questo ho utilizzato una citazione di Balzac come titolo del mio pezzo) e in questo caso la parte di ikebana era costituita da IMG_3230

(foto di Simona Gesperini)

una grande corteccia di sughero lavorata che collegava, si univa, si fondeva col tutto.

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(foto di Simona Gesperini)

Ho così provato in un luogo dove l’arte scorre da secoli di portare una forma artistica complessa ed articolata come quella dell’Ikebana Sogetsu cercando in un lasso di tempo tiranno di mostrarne le varie sfaccettature.

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(da sinistra Minoru Watada, Eike Schmidt, Silvia Barucci, Luca Ramacciotti, Nicoletta Barbieri, Alessandro Canino, Rosaria Malito Lenti, Gioni David – foto di Fabio Uggeri)

Concentus Study Group

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Oggi per me è stata una giornata importantissima e a caldo voglio scrivere alcune prime impressioni in attesa poi di fare un post anche con foto che, per fortuna sono state fatte da altri, perché io ero davvero stanco, frastornato, emozionato e assalito da persone con mille domande.

Prima di tutto il mio ringraziamento va all’Addetta Culturale dell’ambasciata la Dott.ssa Yoshimura Yuko e alla Dott.ssa Silvia Caronti sia per la proposta fattami sia per la paziente (c’è stato un fitto scambio di mail tra di noi) e professionale organizzazione portata avanti anche assieme al Dott. Simeone Marco.

Un particolare ringraziamento al Presidente dell’Associazione Piante e Fiori d’Italia per averci donato il materiale per gli ikebana.

Poi alle allieve presenti (grazie Silvia per avermi fatto da assistente), allo scultore David Giona Parra, Maria Cristina Nicotra (finalmente ci siamo incontrati!) e a suo marito e a Barbara Poletti che ha fatto con me il trasbordo della foresta ^_^ Avere animi vicini in questi casi è sempre un balsamo.

Sapere di essere vicino ai grandi capolavori dell’arte mi faceva davvero vibrare le vene nei polsi, come l’idea di utilizzare i preziosi e magnifici vasi in lacca proposti dall’Ambasciata.

Appena avrò foto farò un altro post, ma volevo subito buttare giù l’emozione la felicità di queste ore.

Fare una dimostrazione (e conferenza) in circa 40 minuti (3 ikebana!) è stata una corsa contro il tempo perché si sa l’ikebana richiede tempo e concentrazione, ma spero che le persone presenti abbiano apprezzato e compreso un poco meglio quest’arte.

Un grazie va al Direttore degli Uffizi, il Dott. Eike Schmidt non solo per la presentazione e i ringraziamenti, ma per aver assistito a tutta la mia dimostrazione.

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E un grazie anche ad Alessandro Canino per la sua presenza e le foto.

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E un grazie ultimi, ma non ultimi a Lucio Farinelli che decise anni fa di fare un workshop di Ikebana Sogetsu presso l’Istituto di Cultura Giapponese e alla maestra Lina Alicino che mi fece diventare maestro di quest’arte.

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