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Luca Ramacciotti – Sogetsu Concentus Study Group

www.sogetsu.it

Monthly Archives: gennaio 2021

Dopo il bellissimo ed istruttivo workshop del 27 scorso oggi siamo tornati a fare lezione online con Mika Otani Sensei. Come scrivevo nel post precedente non potendo muoverci data la pandemia (speriamo che questa sia la coda finale) possiamo però sfruttare le tecnologie e continuare a studiare online.

La scelta mia, e del maestro Lucio Farinelli è stata come scritto mesi fa, di migliorarci studiando con Mika Otani sensei sia per la sua preparazione si per il cuore e la passione che mette in quest’arte. Lei segue il percorso della via dei fiori con tanta passione e felicità. Dopo due insegnanti con cui non mi ero sentito in sintonia finalmente ho trovato la maestra che mi sa insegnare come desidero io. Moltissime informazioni tecniche e culturali, un approfondimento mai avuto prima con nessuno.

Proprio per questo motivo chiedemmo a Otani sensei di ripassare gli stili base e le variazioni e la ringrazio per come ci ha spiegato anche il concetto base della IV variazione che non era tema della lezione di oggi. Otani sensei risponde a tutte le domande e dubbi che possa avere e non potrò mai ringraziarla abbastanza per questo.

Oggi io e Lucio abbiamo affrontato la seconda e terza variazione. La prima in versione nageire e la seconda come moribana essendo più difficile.

Nonostante la difficoltà di eseguire gli ikebana a rovescio come se si fosse in dimostrazione non mi sono mai sentito così felice e soddisfatto come da quando prendo lezioni con Otani sensei, non sono mai nervoso o in tensione e la felicità accompagna lo studio. Lei spiega benissimo e i suoi grafici perfetti per farci capire cosa dobbiamo fare.

Per l’occasione io ho inagurato anche il mio nuovo suiban quadrato.

Variation No.2 Upright Style Nageire di Luca Ramacciotti – vaso di Lucio Farinelli
Variation No.2 Slanting Style Nageire di Luca Ramacciotti – vaso di Sebastiano Allegrini
Variation Variation No.3 Upright Style Moribana di Lucio Farinelli – vaso di Cer
Variation No.3 Slanting Style Moribana di Luca Ramacciotti – vaso di Luca Pedone

Il detto recita che il maestro giusto arriva quando l’allievo è pronto, ma a me dispiace di non aver preso prima lezioni da Mika Otani sensei e spero ai miei allievi di trasmettere quest’arte con tutta la gioia che lei dona a me.

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Torno ad occuparmi di un tema per me fondamentale nello studio dell’ikebana Sogetsu (oltre ad imparare perfettamente le proporzioni e le tecniche) ovvero la creatività.

Ho già trattato in vari post questo argomento, ma trovo sia un tema spesso abusato nel senso che sotto la bandiera dell’essere creativo facciamo passare qualsiasi roba.

Fondamentalmente per me essere creativo vuol dire che si deve comunicare qualcosa ad altra persona, se questi non comprende il tuo messaggio probabilmente al 90% lo hai sbagliato soprattutto se devi giustificargli ciò che hai realizzato.

A comprendere meglio questo concetto ci sono manuali come quello da me consigliato di recente in questo blog, ma anche il cercare di avere una visione a 360° di tutto ciò che può essere fonte di idee e soprattutto guardare al di là del proprio steccato. Se studiamo un’arte tutto può influenzarla o essere fonte di idee.

In ikebana per me è importantissimo vedere ciò che realizzano gli altri (a questo proposito ringrazio Mika Otani sensei e il Chapter di Singapore di Ikebana International per l’invito al loro interessantissimo workshop) e volendo continuare lo studio, pur essendo già maestro, ho la fortuna, grazie ai mezzi tecnologici a nostra disposizione di poter prendere lezioni online dato che non possiamo ancora viaggiare. Volendo migliorare la mia conoscenza di questa arte e non avendo vicino maestri che mi possano insegnare più di quello che già so non mi sono rivolto ad una maestra europea, ma ad una giapponese (ovvero la su citata Mika Otani) per andare a scoprire tutte quelle sfumature che un maestro europeo (per forza di cose) non possiede.

Ma torniamo meglio a focalizzarci sull’ikebana e la creatività. Nella Sogetsu sotto l’emblema dello stile libero si fa passare per buono ogni cosa che ci viene in mente, ma se io faccio un ikebana dove ai fiori vado aggiungere un ciocco di legno che con essi non “comunica” avrò tre materiali separati (fiori, ramo e vaso), non una cosa creativa. L’ikebana Sogetsu è da considerarsi una scultura e alla statua di Venere non attaccherei mai il braccio con la folgore di Zeus.

Quindi il primo passo è cercare di comprendere se i materiali che abbiamo scelto si armonizzano per forma e colore tra di loro e con il vaso, se andremo a costituire un unicum o un catalogo delle cose che ci piacciono.

A tal proposito vorrei qui mostrare alcuni recenti lavori di Maasaki Ozono sensei (che ringrazio di avermi permesso di pubblicare) dove è palese che la creatività si esplica perfettamente nella scelta dei colori e delle forme, dove l’ikebana si sgancia dalle forme canoniche per raggiungere una vetta artistica. Non è un ikebana “strano” volto a sorprendere, ma una creazione pensata e sentita dove, fra l’altro, abbiamo un volume ed una profondità (e non un muro frontale) elementi molto importanti per la Scuola Sogetsu.

Questi quattro lavori sono davvero straordinari e non mi stanco mai di osservarli. Mi comunicano gioia, potenza e il colore dei fiori ricorda le pennellate in un quadro. Invito anche chi non studia ikebana, o non lo fa da molto tempo, di osservare i rapporti di dimensione, colore e movimento tra i materiali e tra loro e i vasi.

Un altro elemento per me imprenscindibile nella creatività è il suggerire uno stato di animo oppure la stagionalità, concetto molto importante nell’ambito delle arti giapponesi basti pensare non solo all’ikebana, ma agli haiku o alla cerimonia del tè i cui strumenti cambiano a seconda del periodo dell’anno in cui viene effettuata.

In ikebana usiamo i materiali di stagione, ma possiamo anche scegliere qualcosa che ci rammenti la stagione appena terminata oppure suggerire ciò che stiamo vivendo.

Mi spiego meglio e lo faccio, tra poco, con un esempio della bravissima maestra francese Marie Andre, una delle più eleganti e creative insegnanti che abbia la fortuna di conoscere. I suoi ikebana sono sempre bellissimi e molto poetici, mai freddi o “strani” anche quando utilizza materiali non vegetali. Una delle poche maestre europee da cui andrei a lezione.

Quest’anno è stato talmente freddo che persino da me in Versilia ha nevicato. Se volessimo esprimere questa sensazione in ikebana come potremmo fare? Come dare delle sensazioni legate alla stagionalità?

Pensiamo al celebre quadro Lo stagno delle ninfee (The Water-Liliy Pond) di Claude Monet che riporto qui sotto.

Monet non ha preso e ha dipinto ogni singolo elemento in maniera naturalistica, ma ci ha suggerito la calma della natura, la luce (primaverile?) riscalda la vista e il cuore di chi osserva, pare di essere lì innanzi al laghetto della sua casa a Giverny. Il pittore non spiega, non fa un progetto naturalistico, ma sensoriale. Per me un’espressione molto più potente di un paesaggio naturalistico perché li vi è tutto già raccontato mentre in questo quadro io posso lasciare libera la mia fantasia.

Per ritornare alla nostra stagionalità e al freddo eccezionale come potrei esprimerlo in ikebana? La soluzione più semplice sarebbe mettere del ghiaccio o della neve sui rami, ma probabilmente anche la più banale, la meno creativa perché non suggerisce, non sublima il concetto che vogliamo esprimere.. Per questo apprezzo molto la composizione realizzata dalla maestra Marie Andre che vedete qui sotto (e che ringrazio per avermi permesso di utilizzarla).

Al di là della bellezza oggettiva dell’ikebana trovo straordinario come lei abbia suggerito il manto di neve sulla natura. Una neve non compatta, ma un poco smossa dal vento o dai timidi raggi di sole che riscaldano la parte terminale del ramo e anche un poco i fiori. Fiori che con forza si rivolgono al sole, cercano di sfuggire alla neve. L’albero è spoglio perché è inverno, ma si alza verso la luce, verso il sole in attesa che questi porti la forza per la nascita delle nuove gemme, delle foglie.

Questo ikebana, come quelli di Ozono sensei esprimono bene il concetto di creatività vera. Danno suggestioni, mille punti di vista, possono far sì che noi maestri si intavolino discussioni con le allieve per stimolare riflessioni (la nostra chat di whatsapp su questo è sempre in funzione).

Soprattutto in entrambi i casi analizzati si riconosce lo stile dell’esecutore, ma non schiaccia il lavoro ne è, al contrario, al servizio. Lasciano che le loro opere parlino senza dover spiegare i loro intenti.

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Se già in passato in questo blog mi ero occupato di ikebana e scenografia legata al mondo dell’opera lirica non ho mai toccato un argomento che mi stava molto a cuore.

Prima di parlarvi del tema centrale di questo post permettetmi una piccola digressione.

Oggi in edicola assieme a Topolino è uscito questo libro che raccoglie celebri trasposizioni liriche nel mondo dei paperi e topi disneyani e l’occhio mi è caduto su due “ikebana” presenti nella storia “Paperina Butterfly”.

Ma torniamo al nostro argomento principale da cui il titolo di questo post.

Se io cominciai lo studio dell’arte dell’ikebana fu per aver sentito menzionare il lavoro dello Iemoto Hiroshi Teshigahara in merito ad una Turandot (il titolo fa il riferimento proprio al libretto di questa opera di Giacomo Puccini). Non sapevo né come fosse stata realizzata o dove perché all’epoca non mi furono fornite molte informazioni, ma ovviamente in testa mi risuonò un campanello legato al mio lavoro. Con mio rammarico, pur avendo realizzato diversi ikebana per alcune produzioni di Madama Butterfly e Junior Butterfly, non ho mai avuto la possibilità di realizzare delle scenografie per un’opera lirica seguendo questi stilemi e nessun altro lo ha mai fatto in campo teatrale in Italia perché fare scenografia è, come vedremo, qualcosa di più di un semplice lavoro di media grandezza da collocare da qualche parte del palcoscenico.

Negli anni ho avuto maggiori informazioni, grazie ad internet, relative al lavoro che lo Iemoto Hiroshi svolse a Ginevra e Lione e soprattutto online trovai queste due fotografie.

Quello che non sapevo, e che ho scoperto recentemente grazie alla costumista Akie Maemori, era chi interpretasse il ruolo da protagonista, anzi mi diceva la capo attrezzista Lugina Monferini che quello fu proprio il suo debutto nel ruolo.

La vita si diverte spesso a segnare dei tracciati che si rivelano all’improvviso e anche in questo caso è stato così e la notizia mi ha emozionato come non mai.

Ho iniziato a studiare ikebana proprio per quell’allestimento e in base praticamente al nulla a livello informativo e più volte ho lavorato in scena proprio con colei che aveva debuttato all’epoca il ruolo e con Hiroshi Teshigahara ovvero il soprano Giovanna Casolla che ringrazio per queste foto fornitemi. La signora Casolla è riconosciuta internazionalmente proprio come uno dei grandi soprani celebri per questo ruolo (di questi io ho avuto la fortuna di lavorare anche con la signora Ghena Dimitrova).

Per me è come se si fosse chiuso un cerchio. Ho iniziato lo studio per una Turandot e ho lavorato più volte (senza saperlo) con chi in quell’allestimento aveva interpretato il ruolo principale. Ringrazio anche la Sogetsu per tutto il materiale fornitomi che, per ragioni di copyright e privacy, non posso divulgare, ma che è stato importantissimo visualizzare e studiare.

Hiroshi Teshigahara realizzò un’opera straordinaria che spero possa divenire fonte di studio per coloro che vogliono approcciarsi alla scenografia attraverso l’arte dell’ikebana.

Per me ora il mio percorso di lavoro e di ikebana ha una nuova luce.

Entrambe le foto sono state scattate per i festeggiamenti del 25esimo anniversario del debutto del ruolo di Turandot da parte della signora Casolla

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Quando per il portale dasapere.it lessi il libro di Luigi Gatti “Il cammino del Giappone” mai mi sarei aspettato gli eventi culturali che da ciò sarebbero scaturiti.

A novembre infatti Gatti mi propose un’idea che accolsi immediatamente. Un ciclo di tre conferenze online della durata di un’ora (a basso costo per gli iscritti) con al termine discussione e confronto di opinioni. Un’idea che si è rivelata vincente e che è piaciuta molto ai partecipanti e che ha tracciato, a quanto pare, un’idea da seguire. Dopo le conferenze del 6 e 20 dicembre e del 10 gennaio su richiesta degli iscritti ne sono state messe altre due in cantiere. Questo a me ha fatto molto piacere perché premia non solo la preparazione di Gatti, ma la sua passione e la sua grande capacità di divulgazione.

Il tema è stato proposto da una delle iscritte ed accettato subito da tutti perché ricco davvero di possibili sfumature di studio.

Due piccole premesse.

Fin da piccolo subivo piacevolmente il gusto dell’attesa. Da me a Lido di Camaiore c’era la Festa della Fragola quando era la loro stagione, si ringraziava per i primi frutti estivi e da ragazzini si andava in pineta per raccogliere i pinoli (era più le volte che con i sassi mi schiacciavo le dita che quelle in cui rompevo il guscio dei pinoli, ma questa è un’altra storia). Si andava in base alla stagionalità, alle primizie. Il tempo e le stagioni ci scandivano la vita.

Alle medie incontrai la poesia di Ungaretti e ne rimasi affascinato. Poche parole, immagini che vibravano di mille altre, mai la poesia era così facile da percepire, ma su cui si doveva riflettere a lungo. Molti anni più tardi, complice la lettura del libro “Il vuoto e la bellezza. Da Van Gogh a Rilke. Come l’Occidente incontrò il Giappone” avrei fatto le somme e capito quanto ancora una volta la vita mi avesse fatto chiudere un cerchio.

Questo per far capire come possa personalmente affascinarmi il concetto di stagionalità contro il “tutto e subito” imperante oggi e questi componimenti poetici del Giappone che tanto hanno influenzato anche la nostra letteratura. O come diceva Gatti nella precedente conferenza di come negli Haiku sia bello ciò che non viene detto, ma suggerito e che sarà completato dal nostro ragionamento e/o dal nostro stato d’animo.

Sono sicuro che queste due conferenze saranno ancora ricche di fascino e cultura e ringrazio Gatti per averci coinvolto in questa prestigiosa iniziativa, la bravissima grafica Silvia Barucci per aver creato le stupende locandine e il fotografo Andrea Lippi per averci permesso di utilizzare le sue spettacolari fotografie.

Gatti organizza anche un approccio alla lingua giapponese sempre attraverso il suo metodo che, nelle conferenze di cui sopra, ha convinto tutti i partecipanti perché ci ha permesso di memorizzare molte parole e concetti della lingua giapponese.

per chi fosse interessato al corso con inizio 3 febbraio ore 20.30 può chiedere direttamente informazioni a luigigtt@gmail.com

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Con la scuola Sogetsu abbiamo, per i contenitori, molteplici possibilità di materiali dalla ceramica al vetro al ferro alla plastica alla carta (ovviamente con dentro qualcosa che possa contenere liquidi perché se non si usa solo materiale secco è impensabile un ikebana senza acqua). Nessun freno alla creatività in questo settore (ovviamente sempre coi limiti del buongusto e dell’intelligenza), ma è innegabile che il rapporto emotivo tra ceramica e ikebana sia notevole.

Come non pensare ai vasi realizzati dai nostri Iemoto? Contenitori figli della loro epoca o, in alcuni casi, anticipatori di gusti futuri.

Per questo motivo ho sempre spronato le mie allieve a studiare anche l’arte della ceramica perché un maestro Sogetsu dovrebbe saper fare i propri contenitori con questo materiale oppure almeno provarci. Se non tentiamo di realizzare dei vasi non capiremo mai bene, in maniera approfondita, il rapporto che essi instaurano con il materiale vegetale.

Negli anni qui ho ospitato l’intervento di alcuni ceramisti quali Luca Pedone, Akira Satake, Inger Tibler, Alexander Evans o Tore Coi come ho mostrato ikebana realizzati in vasi di artisti quali Susy Pugliese, Cer, Sabine Turpeinen o Sara Kirschen e fondato un gruppo su Facebook proprio per mettere in contatto e relazione ceramisti ed ikebanisti di tutto il mondo. E’ innegabile, però, che il rapporto maggiore lo abbia avuto con quello che è stato (il verbo al passato è da intendersi nel senso per poco tempo causa mio lavoro e pandemia, ma spero di tornare presto a studiare questa arte) il mio maestro ovvero Sebastiano Allegrini di Pots.

Il suo stile ceramistico (dati anche i suoi studi e il suo percorso) è perfetto per la nostra scuola e per questo motivo ci siamo sempre affiancati a lui fin dal dicembre del 2012. A parlarci di lui fu la maestra Romilda Iovacchini della scuola Ohara e con Sebastiano (e successivamente con sua moglie Angelica Mariani) abbiamo subito stretto un forte rapporto di collaborazione che ha portato a realizzare 3 workshop di ceramica con lui, uno di raku oltre al fatto di aver fatto sì che fosse conosciuto dai ceramisti di tutta Europa sia attraverso le nostre foto sia con la sua presenza ai workshop da noi realizzati dove ha sempre fornito i vasi da utilizzare (non amiamo che chi partecipa ai nostri workshop si debba portare i vasi da casa e questo lo abbiamo imparato dagli amici olandesi). Non ci siamo limitati a comperare dei vasi, ma abbiamo proprio avviato una vera e propria collaborazione che è durata negli anni inviando da lui anche le nostre allieve per la realizzazione dei vasi e, come dicevo prima, il poco che so fare in ceramica è merito di questo laboratorio romano.

E’ interessante il confronto tra chi crea con la ceramica e chi con i fiori perché un conto è comprare un vaso che ben si adatti alle nostre composizioni ed un altro crearlo con un apposito scopo per cui progettarne la forma e la smaltatura. Infatti capisco bene collaborazioni come quella di Luca Pedone con la scuola Ohara o i workshop tenuti da Inger Tibler ad altre studiose della Sogetsu o di Tore Coi con la moglie Neicla Campi e per esteso a noi ora. E’ davvero un rapporto che arricchisce un maestro di ikebana. Ovviamente non è indispensabile allo studio dell’arte dell’ikebana, ma dona una marcia in più soprattutto se fatto con persone che studiano professionalmente la ceramica o che da anni portano avanti lo studio di entrambe le arti.

Un’ultima riflessione. Non faccio bonsai, ma vorrei segnalare i lavori dell’amico Tiberio Gracco perché credo che chi studia o è appassionato di ikebana o di ceramica debba ricrearsi gli occhi con i suoi stupendi manufatti.

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Ieri sera si sarebbe dovuta tenere l’aultima conferenza del ciclo ideato da Luigi Gatti sul significato semantico dei caratteri. Il condizionale è d’obbligo perché in realtà non sarà l’ultima. L’entusiasmo e le proposte dei partecipanti (quasi 30 persone tra appassionati, ikebanisti ed esperti del settore) ci spingono a proseguire.

Un’iniziativa che non si era mai svolta in italia per ciò che concerne il mondo dell’ikebana e penso sia stata apprezzata l’idea di Gatti dato che stanno spuntando già degli epigoni. Ampliare il concetto di cultura è per noi molto importante e per questo motivo abbiamo scelto un giorno (la domenica quando le persone non sono impegnate con il lavoro solitamente), un orario (dalle 20.00 alle ore 21.00) ed un costo contenuto (per quanto le professionalità e la preparazione sia giusto ricompensarle siamo sempre online e non si possono richiedere cifre alte agli utenti né sconti per i gruppi personalizzati). Inoltre le conferenze vengono registrate per cui agli iscritti resta il materiale didattico. Mi fa piacere che abbiano partecipato anche rappresentanti delle scuola Ohara e Wafu perché se si studia un’arte non possiamo avere steccati mentali con il vicino. Non possiamo sempre e solo coltivare il proprio giardino. Sarebbe sterile. Inoltre ognuno ha il proprio cammino ed esperienza, per cui è sempre importante il confronto. Confrontarsi è crescita.

Per la terza conferenza un concetto bellissimo esplicato anche attraverso le foto di Andrea Lippi che il maestro Gatti ha utilizzato durante la conferenza oltre a quelle di paesaggi del Giappone o di ikebana.

Sinceramente attraverso il metodo di Gatti sono riuscito a memorizzare (finalmente!!!) degli ideogrammi, ma soprattutto al significato delle parole usate in ikebana (o a essa correlate) ho potuto dare un maggior significato, ora i concetti sono più chiari ed approfonditi. Tutto è come se finalmente lo vedessi in una nuova luce. Prima era tutto…. Komorebi (木漏れ日)

Ma quale è questo concetto esplicato nell’ultima lezione? E’ difficile da spiegarsi in due parole come tutti i termini giapponesi che hanno diverse sfumature, si diramano come fiumi secondari. Eleganza, gusto e raffinatezza sono i significati principali di Fūryū e si declinano nei fiori, nella pioggia (anzi nelle varie tipologie di piogge), nei Karesansui, nel wabi, in tutte quelle sensazioni che porteranno eleganza, gusto e raffinatezza nella nostra anima.

Grazie ancora a Gatti per la poesia e la professionalità con cui ci insegna e…. a presto per notizie sulla nuova conferenza.

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Prima di lasciare la parola all’ospite di questo post ci tengo personalmente a ringraziarlo. Infatti per la locandina (realizzata da Silvia Barucci) della III Conferenza tenuta da Luigi Gatti scrittore, viaggiatore ed esperto di cultura giapponese ci siamo potuti avvalere di una sua fotografia,

Ho pertanto chiesto ad Andrea Lippi (questo il nome del fotografo) un suo contributo e lui mi ha mandato il testo (anche il titolo di questo post è suo) e le foto che seguono.

Per chi mi conosce sa quanto sia importante per me non parlare solo di ikebana tout court, ma di inserirla in un contesto culturale più ampio per cui ringrazio il signor Lippi per averci onorati con questo suo lavoro.

“Ricordo spesso quella mostra, alcuni anni fa a Firenze: in una sala, nell’oscurità, erano esposti alcuni lavori di Mark Rothko, grandi macchie di colore ben illuminante nella penombra dell’allestimento. Mi avvicinai ad una tela ed iniziai a fissarla ed a provare, minuto dopo minuto, un senso di distacco dallo spazio in cui ero e di contemporanea e completa attrazione verso l’opera. Con l’immaginazione trovai una nuova e inaspettata profondità nel dipinto, e fu allora che quelle macchie di colore diventarono qualcosa di meno astratto: forse un campo di grano ed un cielo? forse quello stacco sfumato tra le due campiture poteva essere la foschia all’orizzonte? Compresi che quelle due grandi campiture di colore potevano trasportare lo spettatore verso nuovi e sconosciuti livelli di profondità e che quella visione si era fatta immagine in quel momento, in quella sala e che forse, il giorno dopo ne avrei avuta un’altra o forse nessuna.

Questa sensazione, di nulla che si fa sostanza, mi è tipica in molti contesti che hanno a che fare con il Giappone. Ad esempio, davanti ai paraventi di Tōhaku Hasegawa mi perdo ad interrogarmi su cosa si celi dietro a quelle nebbie. La mano del pittore disegna il pieno per rappresentare il vuoto, dona allo spettatore, la possibilità di andare oltre al visibile e la sensazione di aver afferrato una figura o un simbolo, in questa ostentata necessità che ogni volta abbiamo, di dover “riempire”, trovare le parole, dare un significato.

Nella casa tradizionale giapponese ci si può trovare smarriti: dove sono le pareti? Dove sono gli oggetti? Lo spazio in cui sono stato seduto ieri adesso non c’è più… Nell’architettura “shinden-zukuri”, originaria del periodo Heian, le pareti scorrevoli cambiano l’organizzazione della casa e si aprono verso il giardino fondendo e confondendo l’interno con l’esterno, il finito con l’infinito.

Nello haiku il significato, a discapito del significante, apre alla mente orizzonti lontani e diversi, crea suoni, ci trasporta da una stagione all’altra e come riesce in questo? Forse descrivendo minuziosamente una certa situazione? No, al contrario, uno Haiku lascia una sensazione di sospensione, che può farsi immagine nella nostra mente o rimanere tale come auspica Barthes:

“…le vie dell’interpretazione non possono che sciupare lo haiku: perché il lavoro di lettura che vi è connesso è quello di sospendere il linguaggio, non di provocarlo…”

Potremmo continuare per ore a parlare e meravigliarci su come il concetto del vuoto sia al centro della cultura giapponese e, in modo più ampio, nella cultura orientale. Molti degli esempi citati hanno in comune concetti come asimmetria e armonia che combinati insieme danno vita alla composizione ritmica che distribuisce pesi e misure, che crea musicalità.

Nell’ ikebana, ad esempio, proprio l’armonia si nutre del vuoto affinché essa sia percepibile. Le mani dell’artista, come se tenessero un pennello per disegnare un ideogramma, liberano dal superfluo, accostano e allontanano, partendo dallo spazio vuoto e creando grazie ad esso.

Credo sia stimolante perdersi in queste sensazioni e credo che lo sia ieri come oggi, in quanto si tratta di argomenti senza tempo. In fotografia ad esempio potremmo citare Hiroshi Sugimoto e il suo progetto “Seascapes”: fotografie di paesaggi di mare e cielo, senza persone, senza barche, natanti o altro, solo mare e cielo che si incontrano inevitabilmente su una linea a volte netta a volte sfocata. Scene vuote, molto simili tra loro ma l’artista sente la necessità di scrivere il luogo dello scatto come a volerne richiamare l’identità anche se non riscontrabile, come a ricordare che quello che apparentemente ci sembra uguale in realtà può non esserlo. In questa incertezza di base, l’occhio dell’osservatore si perde nelle mille onde del mare che ricordano il tempo che passa e che non può essere arrestato, proprio come l’acqua, proprio come il concetto di “mono no aware”, una frase giapponese che richiama la struggente e nostalgica sensazione di consapevolezza che tutto non può essere per sempre. Una sensazione che descrive bene Yoshida Kenkō, scrittore giapponese vissuto tra il XIII e XIV secolo, in questo brano:

Se l’uomo non svanisse come le rugiade di Adashino, se non si dileguasse come il fumo sopra Toribeyama, ma rimanesse per sempre nel mondo, a che punto le cose perderebbero il loro potere di commuoverci

Lo spettatore della foto di Sugimoto indaga costantemente l’immagine alla ricerca di un soggetto riconoscibile oltre al mare e il cielo: che sia una barca, una persona o la linea di terra, nella necessità, ancora una volta, di dover trasformare l’immaginazione in immagine vivida.

In fotografia da anni ormai cerco di dare forma al vuoto: che sia un paesaggio, la fitta pioggia tra i palazzi di una città o il volto di una persona. Vorrei che le mie foto fossero inconsapevoli contenitori di immagini più che immagini loro stesse e so che il Giappone può aiutarmi in questa impresa”.

Il lago Ashinoko nei pressi di Hakone, come nello Haiku di Basho:
Fitta nebbia:
invisibile, e pur suggestivo
il Fuji oggi.
Diario di viaggio sotto la pioggia e il vento (1684-85), Matsuo Basho
Shirakawa-go nella neve di Marzo, Giappone 2018 (Andrea Lippi)
Pioggia luminosa nel quartiere di Gion a Kyoto ed uno shafu in attesa di riprendere il suo cammino. (Andrea Lippi)
Nebbie estive sopra il ponte di Amanohashidate, Giappone 2016 (Andrea Lippi)

Andrea Lippi nasce in Toscana. Si avvicina alla fotografia grazie alla macchina del padre per poi occuparsene con continuità dall’età di 23 anni, realizzando una camera oscura e iniziando a stampare in proprio le sue foto.

Dal 2003, anno in cui fonda con alcuni amici il gruppo BoulevardUtopie che si occuperà di foto e video, inizia a ideare alcuni progetti fotografici, tra i quali “Ioedio”, “Presenze”, “People Met” e “Floating lights”. Dal 2008 avvia la collaborazione come video-maker e artista di scenografie digitali con alcune compagnie teatrali. Nel 2010 entra a far parte del collettivo Playsomenting creando immagini, foto e video in performance audiovisive presentate a Firenze, Milano, Roma e Mosca.

Dopo diversi viaggi in Europa e a New York, nel 2014 si reca in oriente dove, negli anni successivi, viaggerà in Cina, Vietnam e Honk Kong. Nel 2015 viaggia per la prima volta in Giappone, facendovi ritorno nel 2016, 2018 e 2019. Nel 2017 prende forma il progetto “Lights of Japan” con l’uscita del libro omonimo con la prefazione di Noriyuki Kai (Ibaraki University of Mito) e Midori Sewake. Dallo steso anno iniziano le prime mostre fotografiche del progetto e le artecipazioni a conferenze, convegni e presentazioni in tutta Italia. Dal 2018 inizia ad esporre le proprie foto in Giappone, prima ad Osaka e poi a Mito con il patrocinio dell’istituto italiano di cultura di Tokyo. Le mostre continueranno a Miyazu-Amanohaschidate (2018) e a Obu-Nagoya (2020). Le foto di Andrea continuano a viaggiare in Giappone ancora oggi.

Contatti:

www.andrealippi.it

info@andrealippi.it

instagram: andrealippi_fotografia

Grazie ancora al sig. Lippi per questo suo prezioso contributo che so quanto possa stimolare l’approfondimento culturale del Giappone da parte del sottoscritto e del suo gruppo e di tutti coloro che non limitano lo studio dell’ikebana ad una semplice realizzazione di composizioni floreali.

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Se ogni anno speriamo che il prossimo sia migliore (pare il genere umano sia perennemente insoddisfatto) è fuor di dubbio che quest’anno tale sentimento avesse radici realistiche. Non possiamo pretendere miracoli dal 2021 perché probabilmente sarà un anno di “transizione”, ma magari torneremo a vivere con meno terrore.

Nel frattempo festeggiamo la speranza e io lo faccio in primis con questa bella foto di gruppo.

Ieri con le nostre allieve (anche quelle che vivono all’estero) abbiamo organizzato un tè virtuale. Purtroppo alcune non hanno potuto partecipare per impegni familiari, ma come si vede dalla foto eravamo un bel gruppo. Tra risate, tè e dolci abbiamo parlato di progetti per esorcizzare ogni possibile impedimento. Se è vero, come scritto nel post precedente, che la nostra attività del gruppo non si è mai fermata un conto è fare le cose virtualmente e un’altra stare tutti assieme di persona.

Sempre per gli auguri pubblico l’ikebana realizzato per inizio anno da Silvia Barucci che non aveva potuto essere dei nostri per gli ikebana di Natale.

Come ho detto a Silvia, lei ha realizzato un vero e proprio fuoco di artificio in ikebana. Spesso purtroppo vedo online delle ricerche sullo stupore straniante ovvero volerlo fare strambo in nome di un freestyle fuori dagli schemi (che è in primis un rendere lecito qualsiasi cosa inoltre se si fa freestyle siamo già fuori dagli schemi è inutile premere sul pedale dell’acceleratore). Un po’ come se in un ikebana augurale mettessi che so delle spine che già sanno di Passione di Cristo, ma che erano proibite anche nei morimono tradizionali e infatti nel libro Ikebana “Inspired By Emotions” i materiali con spine erano tutti negli ikebana che parlavano di Paura.

Come insegna anche la Iemoto nel bellissimo video augurale che ha realizzato per gli auguri di inizio anno la semplicità (apparente) è sempre la strada migliore da ricercare.

Buon tutto.

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