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Luca Ramacciotti – Sogetsu Concentus Study Group

www.sogetsu.it

Monthly Archives: luglio 2020

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Questo è un libro che consiglio a tutti coloro che gravitano intorno al mondo dell’arte. E’ un libriccino piccolo, ma denso di significati che riporto qui:

“Che cosa fa di un’opera d’arte un capolavoro? Un capolavoro è l’espressione più alta del genio di chi l’ha realizzato, ma al tempo stesso è capace di raccontare un’epoca, un mondo, una realtà e un modo di sentire. Questo è un libro che va alla ricerca di chiavi meravigliose e misteriose per intrepretare quelle opere e la loro grandezza. Si spingerà a ritroso, fino alla metà dell’Ottocento, perché è lì che affondano le radici di quello che dell’arte, oggi, ci lascia a bocca aperta: partendo dalla scandalosa nudità di Olympia, passando attraverso il gorgo folle del campo di grano di Van Gogh, cercando di penetrare i grovigli della mente dell’uomo che urla nel pastello più famoso di Munch, per rilassarsi poi tra le bottiglie di Morandi. Si cercherà di capire perché quel ragazzino dispettoso che sichiamava Piero Manzoni è diventato così importante, pur avendo vissuto così poco e, per di più, inscatolando le proprie feci e facendo quadri bianchi. Con lui e poi con Burri, Castellani, Boetti, Schifano e Pomodoro, questo libro percorre la penisola ricostruendo, da un’opera all’altra, le tappe imprescindibili della storia d’Italia.”

Perché parlo di arte in un blog d ikebana? Semplice. Quando si diviene maestri Sogetsu si riceve dalla scuola un regolamento dove, tra le varie regole e consigli, c’è scritto di invitare i propri allievi a visitare mostre d’arte. E per arte non si intende solo quella orientale, ma mondiale. Segnalare mostre, andare a vederle assieme, parlare di arte in quanto l’ikebana stessa è un’arte.

Ma come si diviene artisti? Cosa è davvero un’opera d’arte? Perché Burri con dei sacchi materici è diventato famoso? Questo libro sopra riportato appunto, come da descrizione, indaga tutti questi motivi spiegandone anche il contesto.

Se io prendo a rasoiate una foglia tagliandola probabilmente mi illudo di fare arte a contrario di un Fontana che con le incisioni nelle tele ha creato una nuova dimensione. Questo anche perché dietro al “taglio” di Fontana c’era uno studio, un’idea, non voleva fare il figo né, probabilmente, pensava lui stesso che avrebbe tracciato una nuova strada con i suoi lavori.

Quello che è palese in questo libro è che un’opera diviene arte perché prima di tutto colpisce (in positivo o in negativo) ogni singolo spettatore che la vede. Non lascia indifferente. Un artista quando fa è sempre macerato da mille dubbi, si confronta, chiede, studia.

Se si è sicuri del proprio operato, solitamente, al 97% (voglio essere ottimista) non siamo dei veri artisti.

E “artista” (le virgolette sono d’obbligo) può sembrare anche uno che non lo è perché fa una cosa che in apparenza è strana, ma che, se analizziamo, è aria fritta, non ha una vera idea o tecnica alla base.

E sempre di più si sta confondendo il concetto di popolarità con bravura.

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La vignetta sopra citata non è per un attacco di misoginia, ma per sottolineare come sempre più l’apparenza e il cattivo gusto sino imperanti. Più si fa la cosa senza senso e più si passa per artisti. Della serie fatti un nome e mantienitelo.

Lo aveva capito bene Piero Manzoni quando polemicamente creò la sua Merda d’artista.

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(Da Wikipedia:) “Il 21 maggio del 1961, l’autore sigillò 90 barattoli di latta, uguali a quelli utilizzati normalmente per la carne in scatola, ad i quali applicò un’etichetta identificativa, tradotta in varie lingue, con la scritta «merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961». Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90 insieme alla firma dell’artista.

L’artista mise a questi barattoli il prezzo corrispondente per 30 grammi di oro, alludendo al valore dell’artista che grazie ai meccanismi commerciali della società dei consumi poteva vendere al valore dell’oro una parte di se stesso. Attualmente i barattoli sono conservati in diverse collezioni d’arte in tutto il mondo (ad esempio l’esemplare numero 4 è esposto alla Tate Modern di Londra ed il barattolo 80 è esposto nel nuovo Museo del Novecento di Milano) ed il valore di ciascuno di loro è stimato intorno ai 70 000 €, prezzo assai superiore a quello fissato dall’autore. A Napoli nel Museo d’arte contemporanea Donnaregina (M.A.D.R.E.) è conservato il barattolo numero 12. A Milano, il 23 maggio 2007 nelle sale della casa d’aste Sotheby’s, un collezionista privato europeo si è aggiudicato l’esemplare numero 18 a 124 000 euro, record d’asta superato il 16 ottobre 2015 a Londra da Christie’s con 182.500 sterline (esemplare numero 54) e nuovamente il 6 dicembre 2016 a Milano da Il Ponte Casa d’Aste con 220.000 euro (Asta n. 385 Lotto n. 278 – esemplare numero 69).

La critica ha visto la scelta di confezionare le feci come una protesta verso gli artisti che vedevano nell’arte un mezzo per eternarsi. In quest’ottica, l’opera diventa un reliquiario, che contiene un ricordo “prezioso” del maestro, da venerare alla stregua d’un feticcio religioso. Agostino Bonalumi, amico di strada di Piero Manzoni, ha dichiarato che, in realtà, all’interno delle famose scatole da 30 g l’una non vi è nient’altro che gesso.”

In epoca più moderna l’opera Comedian di Maurizio Cattelan si può ascrivere sempre a questa tipologia di critica verso un’arte fatta sempre più di apparenza e meno di contenuti.

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C’è da chiedersi quando si fa arte (a qualsiasi livello e disciplina) se ciò che stiamo facendo sia davvero qualcosa di interessante, di originale o pecchiamo di presunzione

L’oggetto (o l’ikebana) che stiamo realizzando lo vorremmo nel nostro salotto?

C’è stato qualcuno prima di noi che ha già realizzato qualcosa di simile? Se non sappiamo la storia che ha segnato il percorso che stiamo compiendo è ben difficile pensare ad un futuro.

Di contro con l’ikebana dobbiamo rapportarci a dei valori estetici che non sono quelli occidentali per cui dovremo compiere uno sforzo maggiore. E non dobbiamo piegarli alla nostra idea, ma semmai il contrario. Studiare ikebana (soprattutto Sogetsu) senza avere un’idea dell’arte nella sua totalità non fa di noi dei veri artisti.

E se ci sentiamo artisti perché abbiamo messo un ramo poggiato su un vaso od uno in una cornice di legno…  bè credo dovremo rivedere la nostra idea di artisticità.

A tal fine consiglio il seguente libro:

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“Vedere” è un atto creativo; e il giudizio visivo non è contributo dell’intelletto successivo alla percezione ma ingrediente essenziale dell’atto stesso del vedere. Quanti, tuttavia, sanno prendere coscienza del giudizio visivo, e tradurlo e formularlo? Sapere quali sono i principi psicologici che lo motivano e quali sono le componenti del processo visivo che partecipa alla creazione come alla contemplazione dell’opera, significa sapere “che cosa”, in realtà, vediamo. Rudolf Arnheim fonda la sua trattazione sui più recenti principi della psicologia della Gestalt. Egli tende a opporsi al formalismo, riportando la forma al significato e al contenuto, e suggerisce come se ne possano cogliere i più significativi moduli strutturali, approfondendo i problemi che si sono sempre proposti e analizzando le molteplici soluzioni dell’arte più remota a quella dei nostri giorni.”

Se un frutto ci marcisce non è detto che possa diventare un’opera d’arte, ma un lavoro sulla disgregazione fisica (come in alcune opere di David Lynch) può portare a importanti sviluppi visivi o di studio/sperimentazione.

Chiediamoci sempre se stiamo facendo qualcosa per essere  bravi nel nostro campo o se lo facciamo per sentirci dire bravi da chi ci segue. Il nostro animo è il giudice più implacabile del nostro lavoro. Sempre se l’Ego non lo sopraffà.

Concentus Study Group

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Questo il programma della nuova fatica di Carlo Scafuri anima del sempre rimpianto Bonsai & Suiseki Magazine per il quale ebbi la possibilità e l’onore di collaborare con alcuni miei scritti inerenti l’ikebana.

Takumi lifestyle è una sua nuova creatura che si propone di far conoscere le idee, la storia, l’estetica del mondo giapponese senza salire in cattedra, ma facendo vera diffusione e cultura.

Un portale destinato a tutti, appassionati, semplici curiosi, addetti ai lavori. L’intento è di far scoprire un mondo particolare che presenta sempre aspetti sconosciuti anche a chi lo studia da anni, un universo di poetici contrasti.

Concentus Study Group

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Quest’anno si sarebbe dovuto celebrare i 60 anni della Iemoto, ma purtroppo come si sa le cose sono andate in maniera differente, ma grazie a tutte le iniziative ideate dalla scuola credo che l’affetto e l’abbraccio verso Akane Teshigahara le sia arrivato da tutto il mondo.

E’ una Iemoto davvero particolare, molto vicina a tutti, attenta ad ogni esigenza e pronta a cavalcare l’attualità di ogni piattaforma online.

Senza considerare i suoi lavori sempre pieni di poesia e naturalezza senza perderne mai la spettacolarità e l’aspetto scenografico tipici della Sogetsu.

Tra le iniziative c’è (attualmente in corso): “Ikebana Video Festival – Let’s Celebrate the Iemoto’s Kanreki (60th Birthday)!

Per parteciparvi è necessario utilizzare i vasi in ferro del Monozukuri (Craftsmanship) Shop ( su Instagram @sogetsu_mono).

Nello scorso viaggio in Giappone il sottoscritto e il maestro Lucio Farinelli ne abbiamo acquistati due (credo sia impossibile andare in Giappone e non acquistare dei vasi realizzati appositamente per e dalla nostra scuola… o almeno io non ci sono riuscito) che sono diventati una delle valigie da spedire ^_^

Nel link riportato ci sono tutte le istruzioni per partecipare e vincere il vaso realizzato per l’occasione.

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(Foto tratta dall’account Instagram @sogetsu_mono)

Come sempre con il mio gruppo siamo lieti di partecipare alle iniziative Sogetsu non nella speranza di vincere, ma perché è davvero una grande famiglia ed è bello farne parte.

Come sempre in ogni iniziativa coinvolgiamo le nostre allieve.

A differenza di altri gruppi (che solo nelle “occasioni ufficiali” in cui serve fare vetrina scopriamo da chi sono composti mentre per il resto dell’anno compaiono solo i lavori di chi dirige) a noi piace l’aspetto comunitario dell’arte per cui estendiamo sempre l’invito a tutti.

Poi tra lavoro, estate e ahimè le limitazioni del covid non tutti possono partecipare, ma ringraziamo tanto chi ci ha provato quanto chi ci è riuscito.

E io personalmente ringrazio il M. Farinelli perché quando tenevo il corso a Livorno ho portato in treno i vasi di ceramica per le lezioni e so la difficoltà e il peso. Lucio ha portato quello di ferro (che è anche più peso e ingombrante di quelli di ceramica) per permettere al sottoscritto, a Silvia Barucci e Ilaria Mibelli di poter essere della partita.

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(Ikebana di Silvia Barucci – foto di Ilaria Mibelli)

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(Ikebana di Daniela Bongiorno – foto di Lucio Farinelli)

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(Ikebana di Lucio Farinelli – foto di Luca Ramacciotti)

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(Ikebana di Anne Justo – foto di Lucio Farinelli)

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(Ikebana e foto di Ilaria Mibelli)

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(Ikebana di Silvia Pescetelli – foto di Lucio Farinelli)

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(Ikebana di Luca Ramacciotti – foto di Ilaria Mibelli)

Concentus Study Group

 

 

 

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Nel 5 libro di testo della scuola Sogetsu l’ultima lezione si chiama come il titolo di questo blog.

E’ un invito ad esprimersi con l’ikebana in maniera creativa portandola ovunque ne abbiamo la possibilità (dai luoghi di ristorazione/alberghieri a negozi etc). Vengono fatte delle proposte, suggerite idee.

Ho iniziato la riflessione per questo blog (tranquilli tra poco inizierò a lavorare al Festival Puccini e avrò meno tempo per assillarvi con questi  miei scritti ^_^) vedendo questa mattina il post sulla pagina Facebook della scuola.

Devo dire che prima di tutto mi fa piacere questo abbinamento di profumo/ikebana perché in Europa solo il Concentus Study Group lo ha realizzato, ma anche perché spiega bene ciò che è scritto nell’ultima lezione del libro 5.

L’ikebana è un’arte che si è evoluta nel tempo. E’ “uscita” dal tokonoma, ha acquistato una tridimensionalità, sì è “imparentata” con scultura, pittura, architettura, design, è divenuta scenografia teatrale.

Pur rimanendo sempre ikebana.

Mi spiego meglio. Di recente vedo pezzi di legno frullati, serpenti di legno infilate in altri pezzi di legno, pietre, oggetti indefinibili che sembrano usciti dal set di Suspiria o tutta una serie di cose catalogabili nello stile “famolo strano”.

Indubbiamente è più “facile” mettere un ciocco di legno su un pezzo di ferro che creare un vero e proprio ikebana che per aspetto od elementi richiami un’altra arte a cui ci stiamo “abbinando”.

Ecco seguendo i dettami della scuola pensare fuori dagli schemi non è fare una cosa strana che nemmeno si avvicina lontanamente all’ikebana (anche astratto), ma stimolare le cellule grigie nel creare qualcosa non fine a se stesso.

Chi ci segue sa che queste commistioni noi le facciamo da sempre (Floraïku, Di Ser e l’Ikebana Sogetsu, Hanayuishi Takaya, Pitti Fragranze 2017 – Profumi del Forte, Il King e l’Ikebana Sogetsu, Essenza,Ikebana comes out of the closet) e mi fa piacere aver compreso bene le linee guida della scuola.

Noi ci mettiamo davvero molto impegno nel non deludere la scuola e seguire le sue linee guida.

Per noi al centro c’è la scuola non il nostro ego.

Di recente mi hanno chiamato per una mostra/esposizione chiedendomi a quanto avremmo potuto vendere le nostre cose. Ecco noi non siamo un negozio, non vendiamo merce, non ci interessa fare soldi a tutti i costi, ma realizzare un discorso culturale soprattutto.

Far conoscere un’arte che troppo spesso viene banalizzata o piegata ai propri dettami.

Se nel 5 libro (ripeto quello destinato a chi vuole avere il certificato da maestro) ci sono tre lezioni dedicate al Free Style (abbiamo 1 Free Style al primo e secondo livello mentre 3 e 4 sono tutti “free style”, ma in realtà applicazioni e concatenazioni libere delle variazioni seguendo i vari temi proposti di volta in volta) vuol dire che è molto importante esprimere l’espressivià e le possibilità che questa moderna scuola di ikebana offre senza snaturarla.

Mi chiedo come vedendo gli esempi dei libri della scuola si possano poi concepire certe cose floreali (non riesco a chiamarli ikebana).

Pensiamo a un oggetto od arte qualsiasi: profumo, cibo, moda, poesia, film, musical, opera (o tutto quello che la vostra fantasia suggerisce) e cerchiamo di visualizzarlo come se fosse un ikebana.

Pronti?

VIA!

Concentus Study Group

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Quando ero studente di ikebana…..

Ricomincio scusate perché studente lo sono ancora e lo sarò sempre, diciamo che con il livello di maestro ho un nuovo approccio (ed esperienza) allo studio di questa arte.

Comunque dicevamo… nel mio libro di testo del 4 anno c’era l’invito ad ideare un ikebana andando ad utilizzare come contenitore un oggetto di uso comune (barattolo di latta, bottigilie etc).

Ricordo che io usai un cartone del latte interamente coperto di rafia blu e il   maestro Farinelli un contenitore di cibo da asporto cinese ricoperto da una cartina geografica.

Memori di questo come lezione a sorpresa alle allieve del terzo anno facciamo fare una cosa simile.

“State andando ad una vostra mostra/dimostrazione di ikebana e vi si rompe il vaso. Vicino avete una cartoleria e dovete rimediare qualcosa che vi serva da contenitore.”

Ovviamente a lezione prepariamo già gli oggetti che possono essere utili, cosa impensabile da farsi online.

Oggi avevamo online la lezione finale di Deborah Gianola la nostra allieva che vive in Svizzera e che, per ovvi motivi, non è potuta venire a Roma.

Deborah sta compiendo un ottimo percorso di studio e sono felice di constatare che nonostante il II posto ottenuto lo scorso anno all’草月みんなのいけばな展 Everyone’s Sogetsu Ikebana Exhibition non si sia montata la testa.

Mentre scrivo, l’edizione attuale del concorso è in pieno svolgimento, chissà chi vincerà questa volta. Noi siamo fieri che su 8 edizioni abbiamo vinto cinque premi (di cui due primi premi) con la soddisfazione personale che su 5 foto premiate 4 erano scattate dal sottoscritto che non è un talentuoso fotografo, ma cerca di imparare dagli amici fotografi (Lorenzo Palombini e Giuseppe Cesareo) a scattare decenti foto. Buona sorte a tutti i partecipanti!

Torniamo alla lezione di oggi.

A Deborah (eravamo in collegamento via Zoom il sottoscritto, il Farinelli e appunto l’allieva) chiediamo di scegliere i fiori ed un vaso che voleva. Le diamo ampia libertà di scelta.

Quando ci presenta il materiale, il vaso blu ed i fiori scelti, le diciamo la nostra proposta di lezione.

La differenza è che se a Roma siamo pronti a sostituire il vaso “rotto” con oggetti che possano contenere l’acqua e cartoncino bristol per “ricostruire” un vaso Deborah non aveva nulla né, naturalmente, la possibilità di uscire per andare a comperare qualcosa.

Ha trovato in casa della carta regalo e ha utilizzato come contenitore la ciotola per il taglio in acqua.

Questo il risultato.

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(Ikebana, foto e vaso di Deborah Gianola)

Direi che per essere stata presa in contropiede ha dimostrato duttilità e creatività.

Poi, dato che non siamo cattivi come ci dipingono, le abbiamo fatto fare anche l’ikebana che aveva ideato prima che le si “rompesse” il vaso.

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(Ikebana e foto di Deborah Gianola)

Concentus Study Group

 

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Il titolo di questo è un omaggio affettuoso al lavoro del grande Maestro Ennio Morricone recentemente scomparso la cui musica ha sempre accompagnato la mia (e dalle reazioni in tutto il mondo non solo la mia) vita.

Nello stesso tempo però è anche una riflessione.

Di recente ho letto questo libro che consiglio a tutti.

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Si legge piacevolmente con un ritmo che ricorda i libri di Banana Yoshimoto e, per i diversi suoni onomatopeici riportati, un manga. Pare quasi di assistere ad un film invece di leggere tanto le descrizioni sono vivide ed immediate.

Il libro è costituito da una serie di racconti della vita dell’autrice quando da ragazza viveva in Giappone. Ogni racconto è legato ad un piatto della cucina giapponese ed introdotto da una calligrafia realizzata dalla scrittrice medesima. Una sezione centrale riporta le suggestive fotografie di Yasufumi Manda relative alla cucina nipponica.

Il capitolo per me più “vicino” è quello relativo alla cerimonia del tè perché spiega quello che dovrebbe essere l’approccio di uno studente ad una disciplina (ovvero affidarsi totalmente ad un maestro senza chiedersi il perché delle correzioni eventuali o della severità – come si suol dire il medico pietoso fa la piaga purulenta) e, nello stesso tempo, le frustrazioni che si provono se non si riesce in quell’arte che abbiamo deciso di imparare.

Ho avuto due maestre che ho seguito fino a quando non avevano altro da insegnarmi ed ho subito ogni loro correzione senza battere ciglio. Nemmeno quando ero costretto ad usare le odiate gerbere (e la maestra lo sapeva per quello voleva che le adoperassi). Se mi affido ad un maestro penso sempre che nella parola affidare c’è la base latina fidus ovvero idato)

Interessante per me è stata la visita anche dell’Iho-an all’interno del tempio Kōdai-ji a Kyoto.

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Non avendo qui in Toscana i miei libri e prima discrivere una cosa per un’altra (con rabbia a volte ho scoperto che persone che ritenevo più esperte di me mi avevano insegnato dei concetti sbagliati per pigrizia nel verificarli) mi sono affidato a Letizia del Magro Scuola di Cerimonia del tè Jaku che ha confermato (e aggiunto anche informazioni nuove) ciò che sapevo:

Il padiglione del tè è rustico come se fosse una capanna perché rispetta il pensiero wabi-cha. É illuminato di solito solo dalla luce naturale (e nelle sere d’inverno da candele nello yobanashi no chaji). L’ingresso degli ospiti è rialzato da terra ed è basso di altezza perché gli ospiti devono inchinarsi (la sala da tè è come un tempio). L’interno dovrebbe essere piccolo da quattro tatami e mezzo a due tatami. Il tetto in bambù intrecciato. Il maestro entra da un ingresso diverso rispetto agli ospiti, dove c’è mizuya cioè la cucina di preparazione del tè che è anch’essa tradizionale e con il “lavabo” a terra poiché si usa seiza. L’unica decorazione sono i fiori e il kakejiku in tokonoma. Non ci sono altre “distrazioni “ e non ci sono mobili. Le finestre sono in carta schermata da pannelli esterni in bambù. Fuori dalla porta degli ospiti c’era un supporto per lasciare le katana: le armi non possono entrare in sala da tèMolto importante è anche il giardino.”

Parto da quest’ultima frase vi rimando ad un mio vecchissimo post (alle volte mi meraviglio da quanti anni siano che tengo questo blog).

Torniamo sulla frase cardine: L’ingresso degli ospiti è rialzato da terra ed è basso di altezza perché gli ospiti devono inchinarsi (la sala da tè è come un tempio).

Eccoci ricollegati anche al titolo omaggio al Maestro Morricone. Entriamo abbassando la testa. Entriamo in uno spazio dove si fa arte, cultura. C’è un Maestro che sta per metterti a disposizione ciò che ha imparato.

L’umiltà credo sia la chiave di volta per entrare davvero dentro qualsiasi tipologia di percorso che ci apprestiamo a compiere.

Spesso sorrido quando colleghi di lavoro accanto al nome mettono la qualifica di artista o di cantante/regista/scenografo etc. Deve essere il pubblico a qualificarti.

Un po’ come se nel fare un ikebana scrivessi che è un’idea innovativa o che esprime tensione, i fiori vibrano e questo significa questo quell’altro. Michelangelo non spiegò il suo concetto della Pietà. Lasciò che arrivasse al cuore di tutti (sinceramente ogni volta che vado in San Pietro quella giovanetta che tiene il corpo di suo figlio morto continua a commuovermi).

Capisco, sono studente anche io, che sia difficile mettere da parte il proprio io, ma fa parte del processo di crescita. Una correzione non è mai (almeno si spera) fatta per umiliarti, ma per spronarti a vedere l’errore in cui cadi.

Spesso io chied consiglio delle mie idee di ikebana ad altri maestri o alle allieve divenute maestre perchè “so di non sapere” e soprattutto un occhio esterno noterà sempre qualcosa che alla nostra mente sfugge. E se mi ricevo osservazioni non mi sento sminuito, ma aiutato da altre persone.

Una persona che va da un maestro e si sente già pronta o grande in realtà è solo uno scolpasta e non imparerà mai nulla.

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Approfitto, per la copertina di questo post, di un disegno trovato online del maestro Shozo Koike che di recente ha pubblicato un imperdibile libro sul sumie per riparlare di un argomento trattato da poco qui: i Simple ikebana.

Se l’ikebana deve sempre trasmettere eleganza ed empatia in chi osserva, a maggior ragione se andiamo ad utilizzare pochi elementi.

In questa stagione calda dove è difficile trovare materiale, o che non sfiorisca subito, è importante, più che mai, riuscire a realizzare un ikebana con i pochi elementi che abbiamo a portata di mano.

La difficoltà, come scrivevo nell’altro articolo, è di non dare l’idea di uno o due materiali messi in un vaso. Dovremo connettere il materiale al vaso, ed eventualmente all’ambiente circostante. Non si tratta di “semplici fiori” perché anche il fiore di campo più rustico ha il suo carattere, i fiori non sono mai semplici, belli sì, ma semplici no. Dovremo fare composizioni (in apparenza) semplici.

La difficoltà è trasmetetre empatia creando qualcosa di nuovo.

Poi per carità online si vedono persone che non solo riciclano le stesse idee, ma usano anche gli stessi vasi e fiori nel farlo, ma noi vogliamo seguire bene quest’arte e farlo per trasmettere gioia e serenità e non il proprio ego. Anche se viene da chiedersi che tipo di maestro si sia se continuamente ci ricliamo; con tutto ciò che la natura offre è bello sperimentare.

Ma torniamo ai nostri ikebana “semplici”.

Il primo che voglio proporvi è dello Iemoto della Koryu shoohkai il maestro Rihoh Semba.

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L’opera comunica subito un forte impatto emotivo. I fili di erba creano un’unica cosa con i vasi, hanno carattere, linea, armonia. Non danno un senso di costrizione, anzi l’idea è di movimento, come se fossero pronti ad uscire da uno dei due vasi. I vasi sottolineando l’andamento ad arco dei fili d’erba e questi mettono in risalto la peculiarità di forma dei vasi.

Ora due esempi della mia scuola in rigoroso ordine alfabetico trattandosi di due grandi maestre.

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La maestra Kosa Nishiyama descrive così il suo lavoro: “I was conscious of the unique shapes and lines in the crystal vase and wanted to mirror those with the simple flower and leaves.

Anche qui la parte terminale della foglia va a “collegarsi” al design interno del vaso e gli altri elementi sottolineano con estrema eleganza la forma del vaso illuminando (grazie al colore del fiore) il tutto. Un vaso di una compattezza solida ingentilito dal ramo leggero e sinuoso.

Si comprende l’amore di questa maestra per questo vaso e come l’idea sia stata proprio per metterlo in risalto.

La terza foto che voglio proporvi tocca un altro tema che a me piace molto, ma che non è affatto semplice: i vasi di vetro.

La difficoltà sta nel giocare con la rifrazione dell’acqua perché tra fare una cosa elegante ed una fredda che ricorda le sezioni anatomiche nei vasi di formaldeide il passo è breve.

Dobbiamo valorizzare il materiale e non affettarlo, anzi più lo lasciamo intero e più si dimostra la propria bravura secondo me.

Inolre in estate con il clima caldo che abbiamo trasmettono, se ben eseguiti, un’idea di freschezza.

Ecco il lavoro della maestra Mika Otani.

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I due fiori non paiono costretti tra pareti di vetro, ma fluttura magicamente in un “non spazio” non sono costretti in gelatine o dalle pareti del vaso ed uno è la continuazione, la promessa, l’inizio e la fine dell’altro in un’unica danza.

Ciò che accomuna questi tre lavori, oltre all’eleganza del lavoro, è palesemente l’assenza di chi lo ha esguito.

Mi spiego meglio.

E’ ovvio che ogni maestro ha il suo stile e così i suoi allievi (non siamo in una fabbrica che stampa gli stessi modelli, per quanto ci possa piacere lo stile del nostro maestro ognuno di noi ha propri gusti e carattere e li deve esprimere sennò invece di fare ikebana si fa ike…a), ma quando siamo innanzi ad opere come le tre qui riportate è la NATURA che diviene protagonista. C’è, ovviamente l’idea, la mano di chi l’ha esguita, ma vedendo la foto non pensiamo a questo.

Vedendo la foto rimaniamo incantati innanzi all’opera d’arte.

Dopo l’incanto pensiamo a chi l’ha realizzata e come.

Se ciò non accadesse ahimè avremmo fallito perché invece della natura in primo piano avremmo messo il proprio ego o la propria presunzione.

L’arte è empatia, è un linguaggio universale.

Che si studi ikebana o meno è palese che questi tre capolavori parlano al cuore di tutti, non sono un discorso tra appartenenti di uno stesso circolo

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