Monthly Archives: Maggio 2020
29/05/20 Un’occasione mancata
“You are free to use these images for any other purpose after publication (website, brochure, portfolio, exposition, etc.) without requesting our approval”.
Questa la frase del regolamento del libro in questione che è l’ultimo che vedrà la nostra partecipazione per i seguenti motivi:
- moltissime foto sono vecchie addirittura del 2014 (quindi cosa si scrive a fare un regolamento se poi si permette a chi ci pare di pubblicare qualsiasi cosa?)
- la maggior parte degli ikebana sono un ramo in un vaso (e scusatemi tra un simpliefied e questo c’è una bella differenza)
- un nutrito gruppo pare realizzato dalla stessa mano (forse dovuto al fatto che sono tutte eseguite a lezione dalla solita maestra e poi fotografate da un unico fotografo)
- tutti sono citati solo con il paese di provenienza tranne una persona che oltre alla nazione è nominato con il gruppo a cui appartiene (spiegatemi il motivo se non per fare pubblicità)
C’è da chiedersi se, dato che ad esporre sono tutti maestri, come mai non siano riusciti a fare ikebana nuovi (una addirittura ha riciclato quello che mandò anni fa come augurio di Natale) dato che conosco anche maestri che non soddisfatti delle proprie foto (e ce ne sono nel libro di sgranate e grigie o leggermente fuori fuoco) non hanno mandato nulla alla redazione.
IO PERSONALMENTE sono fiero dell’unica mia foto pubblicata perché
- Non ho santi in Paradiso
- Il giorno che feci le 3 foto richieste ero andato a letto alle 3 del mattino (a differenza di molte persone presenti nel libro io devo lavorare) per una notte luci, alle 9,00 ero in piedi con Ilaria Mibelli, Silvia Barucci e il fotografo e alle 5.00 p.m. ero di nuovo al lavoro. Idem il Maestro Lucio Farinelli che ha dovuto svolgere il tutto durante le pause lavoro. Quando scrissi alla casa editrice facendo presente i miei tempi stretti non mi risposero di mandare foto vecchie, ma che di sicuro avrei trovato il tempo per fare tutto il lavoro.
- Essendo Maestro e dato che era un libro in cui sarebbero stati presenti gli Iemoto delle scuole ho ritenuto giusto rispettare il regolamento mandato da chi per primo poi non ne ha tenuto conto.
- Non ho fatto un ikebana a lezione e non ho proposto varianti dello stesso tema come ho visto pubblicati.
Posso capire se gli Iemoto, con la mole di attività che hanno, mandano delle foto di ikebana non nuovi, loro sono ospiti, ma a noi era stata chiesta un’altra cosa.
Peccato così non si promuove un’arte, la si mortifica.
Un’occasione persa per fare una grande festa.
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26/05/20 kadō… la via dei fiori (?)
Il curriculum dei libri della scuola Sogetsu consta di 110 lezioni di cui:
Disassembling and Rearranging the Materials (IV anno)
Using both fresh and Unconventional Materials (IV anno)
Dried, Bleanched or Colored Materials (IV anno)
Composing Using Unconventional Materials (V anno)
Relief work (V anno)
Queste lezioni (5 su 110) presentano la possibilità di fare un passo oltre al consueto ikebana, ma come insegnava Kawana sensei, ad un workshop a cui partecipai, dobbiamo stare attenti a non scivolare nel flower arrangement perché il confine è davvero labile.
Ci sono lezioni atte anche a focalizzare l’attenzione sullo studio di un materiale ben preciso per impararne le differenze sie di forma, sia di colore sia di lavorabilità
With Flowers Only (IV anno)
With Leaves Only (IV anno)
With Branches Only (IV anno)
Green Plant Materials (V anno)
di cui solo la lezione con le foglie prevede (ovviamente) l’assenza del fiore. Già perché in tutte le altre nominate (anche in versione essiccato o come infiorescenza dei rami) il fiore è sempre presente. Questo almeno secondo i dettami della scuola Sogetsu che io seguo. Ovviamente ci possono essere delle eccezioni (come in ogni arte), ma appunto sono e devono essere tali (eccezione dal latino exceptionem da exceptus participio passato di excipere che vuol dire escludere, l’atto o l’effetto dell’escludere. Limitazione. Restrizione).
Nel libro di testo alla Variazione 4 (II livello di studio) si legge (so di averlo già scritto, ma non mi stancherò MAI di farlo): “Among the three main steams, Hikae actually plays the most important role. The space created by plancing the other main stems can never be perfected without Hikae. The composition made only by Shin and Soe, no matter how beautifully they arranged, loses stability without Hikae from the three-dimensional from point of view. In short, it is impossible to make ikebana without Hikae. “
Questo perché Hikae è sempre un fiore nell’ikebana Sogetsu.
Vi propongo due ikebana realizzati dal sottoscritto.
Il primo a sinistra lo realizzai da un’insegnante, il secondo da me. Al di là dell’ovvia e palese differenza di vaso e disposizione di materiale si nota come l’aggiunta del fiore (all’equiseto presente in entrambe le composizioni) porti gioia e colore? Per quanto noi si possa colorare materiale secco anche con una perizia da pittore sopraffino, non avranno mai questi materiali il calore e la forza naturale dei colori che hanno i fiori freschi. A sinistra un lavoro che ho amato (ed amo ancora) molto interessante e grafico, a destra qualcosa che indubbiamente non potremo mai definire flower arrangement o scultura perché si capisce (almeno per chi studia ikebana) che i fiori si stanno muovendo liberamente nello spazio ed hanno vita (ikebana, come ricordava Otani sensei nel precedente post deriva da due parole della lingua giapponese: “Ikeru che significa rendere vivo e Hana che significa un fiore”).
Pensate a questo ikebana realizzato dal maestro Lucio Farinelli (e fotografato da Lorenzo Palombini) senza i fiori centrali. Probabilmente sarebbe stato ugualmente bello, ma sarebbe stata più una scultura che un ikebana (tema: Horizontal Composition) e soprattutto un lavoro freddo.
Nella lezione Dried, Bleanched or Colored Materials (come dicevo nell’omonimo post del mio blog) è vero che nel libro di testo si spiega che è possibile utilizzare anche solo materiale sbiancato/colorato/secco, ma ho sempre visto pochissime volte (se non nessuna dai grandi maestri) utilizzare questo tipo di materiale senza l’aggiunta di un fiore.
Ad esempio è interessante la lezione del V livello Composition with Branches – A Two- Step Approach proprio perché prima andiamo a costruire una scultura di rami e dopo vediamo come questa vada adattata in un vaso con aggiunta di fiori o infiorescenze.
Poi diciamocelo tranquillamente i grandi maestri e gli Iemoto riescono a fare sculture assemblando legni e creando cose memorabili, noi si tende al bricolage (un po’ di sana autocritica è sempre bene tenerla presente).
Questi ikebana realizzati a lezione dalle maestre Ilaria Mibelli, Silvia Barucci, Patrizia Ferrari e dall’allieva Rumiana Uzunova provate a visualizzarli senza il tocco del fiore. Come nel caso sopra relativo al lavoro del Maestro Lucio Farinelli la struttura reggerebbe all’impatto visivo, sarebbe interessante, ma il fiore vi dà un afflato di vita che altrimente non avrebbe.
Anche perché non avrebbe senso fare cinque anni di studio per attaccare una corteccia ad un pezzo di ferro e tanti saluti, quello potevo farlo anche prima dello studio.
Se continuamente diciamo di seguire la “via dei fiori” (kadō)… bè mettiamoceli i fiori sennò stiamo seguendo la via delle sculture.
Le composizioni “tradizionali” (ovvero con rami/foglie e fiori) sono talmente importanti per la mia scuola che nel libro del V anno (quello che dovrebbe diplomare un allievo maestro… ma attenzione… “Nulla è ancora deciso, perché manca il mio voto, che potrebbe confermare o ribaltare la situazione!” 🙂 ) sono la maggior parte dei temi (se consideriamo su 30 lezioni ce ne sono solo due davvero particolari). Come si ritorna (sempre nel testo del V anno) a ripassare le tecniche di ancoraggio del materiale perché non importa studiare per mettere rami, fiori o stecchi in bilico in un vaso dall’imboccatura stretta.
Questo se si vuole seguire i dettami della scuola che ci ha reso maestri. Se pieghiamo l’ikebana alle nostre necessità o voglie… bè non è più quella che abbiamo studiato.
Ad esempio nel libro del V livello alla lezione Kakebana, Tsuribana leggiamo: In this lesson the work is place apart from the table or the floor. […] In either case, the first thing to do is to find the place to display the work. A suitable space would be found for example, in the living room, dining room, entrance hall, terrace, or by window.” Questo potrebbe essere un problema nella sala dove facciamo lezione se non attrezzata per l’ikebana di questo tipo, ma se io dovessi fare dei post o delle lezioni du questo tema di certo dovrei inventarmi qualcosa (anche seguendo gli esempi fotografici del libro di testo) e non con uno sfondo anonimo come una parete bianca o nera.
Questo perché noi maestri abbiamo il compito e il dovere di rappresentare la scuola senza considerare che se di 110 lezioni ripeti sempre e solo una tipologia bè… qualcosa sotto ci deve essere.
Infatti mi chiedo anche che senso abbia un libro che dovrebbe illustare al mondo cosa sia l’ikebana e che invece propone a iosa ikebana fatti tutti secondo la stessa ottica che poco hanno di ikebana e fra l’altro con foto nemmeno inedite, ma tutte pubblicate da anni online (ma di questo ne parleremo successivamente).
Le mie allieve finché appartengono al mio gruppo devono dimostrarmi di saper eseguire ogni tipo di ikebana prescritta dalla scuola sia per temi sia per tecniche come io stesso faccio perché come dice Lorenzo Casadei: “Quando una Via viene snaturata, percorrerla non porta lontano.”
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23/05/20 La vera arte è caratterizzata da un impulso irresistibile dell’artista
Inizio questo post con un titolo che è una famosa citazione di Albert Einstein perché qui, grazie ad alcuni esperti di vari campi artistici, vorrei esplorare il concetto di arte, di ciò che si considera artistico. Personalmente io non mi pronuncerò su cosa sia per me arte sperando che il mio lavoro parli da solo e perché non sono all’altezza degli artisti qui coinvolti.
Negli anni l’arte si è evoluta attarverso correnti, stili influenzati da scoperte di materie prime, scoperte scientifiche, mutamenti epocali della società, confronto con altre culture.
Ci sono state opere che hanno affascinato, sconvolto, denunciato. Opere che sono state apprezzate, altre incomprese.
Ma cosa è realmente un’opera d’arte? Cosa è l’arte? Ultimamente si va sempre più a ricercare qualcosa di strano, di incomprensibile, dei fuochi di artificio (splendidi, ma che scompaiono subito) o stiamo ritornando ad una comunicazione tra animi?
Si può essere artisti senza studio? Senza una tecnica?
L’arte sta diventando una cosa sterile perdendo la sua comunicatività tra persone? Non trasmette più emozioni (sia positive sia negative?).
Ecco gli interventi delle persone interpellate che ringrazio (sulle traduzioni dagli interventi in inglese mi assumo ogni responsabilità di fallace traduttore ^_^ ).
Mika Otani (Artista dell’Ikebana Sogetsu)
Che cos’è Ikebana? La gente pensa che l’Ikebana sia la composizione floreale tradizionale giapponese che continua da più di 500 anni, ma io credo che Ikebana sia più di questo.
L’origine della parola Ikebana in lingua giapponese combina 2 parole, Ikeru che significa rendere vivo e Hana che significa un fiore. I fiori muoiono una volta dopo averli tolti dal terreno, ma possiamo dare loro la seconda nuova vita se li utilizziamo. Se mettiamo i fiori come li abbiamo trovati in natura è solo una copia di questa. Non possiamo mai trascendere la nostra natura. Ecco perché dobbiamo trasformarli nella nostra arte, coglierne l’aspetto bello, metterli in un ordine diverso, aggiungere la nostra nuova idea ed emozione e riflettere in questa ciò che siamo. Ikebana non è solo una decorazione da posizionare da qualche parte. L’Ikebana è un potente mezzo di auto-espressione. L’Ikebana è arte.
Quando sistemo i fiori, ricordo sempre le famose parole di Sofu Teshigahara, il fondatore della scuola Sogetsu Ikebana. Vorrei riportare qui le sue parole.
“Quando sono posti in un Ikebana, i fiori cessano di essere solo fiori. I fiori si umanizzano in Ikebana. Ciò rende Ikebana interessante e anche difficile. Sia che ti trovi in ambienti innaturali, naturali o soprannaturali, i fiori diventano umani “.
Se l’Ikebana è un’arte per esprimerci, posso dire che la stessa opera di Ikebana non verrà mai ricreata. Perché chi siamo e la nostra idea e prospettiva cambiano sempre ogni giorno. Abbiamo una brutta giornata e una buona giornata e stiamo invecchiando. Dopo 10 anni, pensi che la tua prospettiva sia la stessa di 10 anni fa? Il lavoro attraverso l’Ikebana è un miracolo che avviene in quel momento quando incontri un fiore, da lì succede qualcosa di originale. Ogni volta che creo un Ikebana, mi preoccupo se posso esprimere le mie idee e pensieri. Mi interessa ciò che posso esprimere attraverso i fiori. Non si tratta della bellezza. Anche se verrà bello o no, il punto più importante è la mia espressione e i miei pensieri. Mi chiedo sempre: “È un’arte o solo una bella decorazione?”.
La mia avventura continua all’infinito con i fiori.
Akira Satake (Ceramista)
Creo la mia argilla, per i miei forni a legna, combinando diversi tipi di pasta ceramica con alcuni ingredienti aggiunti per avvicinarmi il più possibile all’argilla utilizzata nella produzione di articoli Shigaraki, prodotta in una delle regioni del cosiddetto sei vecchi forni del Giappone, che risalgono al XII secolo. Il mio forno ha un design moderno chiamato Train Kiln (per la sua forma ricorda una vecchia locomotiva a vapore), sebbene basato su quello che sarebbe un design tradizionale del forno; le sue caratteristiche distintive sono il caricamento più comodo e una dimensione molto più piccola, rispetto ai tradizionali Anagamas.
Confronto la creazione di queste opere con l’approccio mio alla musica, in cui la melodia da me scritta prende vita solo dopo essere stata suonata dal gruppo di musicisti per cui è stata concepita; quindi, i miei pezzi di ceramica devono essere interpretati dagli incendi.
Per me, l’atto della creazione è una collaborazione tra me, l’argilla e il fuoco. Collaborazione significa trovare ciò che l’argilla vuole essere e far emergere la sua bellezza nel modo in cui la bellezza di ciò che ci circonda viene creata attraverso forze naturali. Ondulazioni nella sabbia che è stata mossa dal vento, formazioni rocciose causate da frane, il crepitio e la patina nel muro di una vecchia casa; tutti questi devono la loro bellezza speciale alla mano casuale della natura. Il fuoco è l’ultima parte casuale dell’equazione collaborativa. Spero che il fuoco sia il mio alleato, ma so che trasformerà sempre l’argilla in modi che non posso anticipare.
Piero Figura (Designer)
L’arte è un esigenza! Un certo tipo di persone sensibili usa l’arte per esprimersi e rendere pubblica una loro emozione privata. Mi chiedono spesso come si diventa un artista ed io rispondo sempre che “si nasce artisti non si diventa” Certo poi gli studi, gli incontri, ma soprattutto la ricerca ti affina e ti completa Io sono stato un po’ precoce a 5 anni disegnavo e coloravo come un ragazzo di 14/15 anni. Poi sono arrivati gli studi e la laurea in architettura Ho anche vinto alcuni premi e qualche anno fa la rivista AD mi ha nominato come uno dei cento designers che hanno firmato il Made in Italy negli ultimi 10 anni. Cosa serve per essere un artista? Servono tre cose: la curiosità, tanta creatività ed un pizzico di fortuna.
Michele Maino (Chef)
Nelle culture primitive arte e artigianato erano una cosa, che prendeva forma negli attrezzi, nelle statuette votive, nei manufatti per celebrare i riti comunitari: semina, raccolto, caccia, matrimonio, funerali, riti di passaggio, nel rispetto di canoni statici tramandati per generazioni.
Per le civiltà monumentali, l’arte è insieme conoscenza e pratica del foggiare la materia (pietra, legno, metallo…) in forme capaci di accogliere il divino e d’imprimere solennità alle fondamenta dello Stato: la regalità, l’amministrazione della giustizia, la guerra.
Con la frammentazione degli imperi, l’arte diventa, se possibile, ancor più agiografica: opere e artisti sono chiamati a giustificare un potere non più dato da Dio e a celebrare le virtù dei vari nobili, feudatari e prelati. L’artista comincia a poter esprimere una personalità, ma mai tanta da ledere la maestà dei permalosi committenti, pena la miseria, l’esilio, la morte.
Al tramontare degli dei, la nuova società materialista ha bisogno di sfrondare la contemplazione a vantaggio della produzione e genera due nuovi tipi d’artista: l’educatore, incaricato di coltivare i cittadini ed educare i fanciulli, e il romantico ribelle, il cui compito è di intrattenere l’annoiata borghesia emergente.
La stagione degli ‘-ismi’ politici e culturali produce un’arte nazional-popolare che infiamma il cuore del popolo e, spesso, ne assopisce la mente. Presto, l’arte scivola sulle cattedre degli accademici e dei critici i quali, nel pur encomiabile tentativo di codificarla, la strappano, come un erborista fa con le piante, al suo terreno vitale e ne espongono le esequie nei musei, nelle gallerie, nelle rassegne, abbandonandole agli ingranaggi del mercato e alla furia consumistica dei gift shop.
Attraverso le epoche, il discorso dell’arte smotta dalle vette siderali del potere giù, giù fino alla massa e, sciogliendosi, si dirama velocemente in mille linguaggi sempre nuovi, la cui vita, spesso, è più breve del tempo necessario affinché un numero sufficiente di parlanti si prenda la briga di imparare a parlarli sul serio.
Liberatosi dal suo Drang con una compressa di Xanax e smarcato da ogni responsabilità metafisica, l’uomo contemporaneo può comprare una macchina fotografica digitale in una stazione di servizio o degli acquerelli al supermercato sotto casa e, finalmente, divertirsi, esprimere se stesso, ‘fare arte’.
Fin qui ho parlato di arte, una parola ormai così inquinata, abusata e svuotata da non avere quasi più senso. E invece voglio parlare del sacro: chiunque, dotato di talento bastante e padrone di un qualsiasi linguaggio, che sia così generoso da sostenere lo sforzo, così umile da fare abbastanza spazio dentro di sé per lasciare che l’universo, il divino, gli archetipi fluiscano e si manifestino attraverso di lui, compie un sacrificio, offre un servizio sacro, dà vita a un’opera sacra. E la potenza numinosa di tale opera risuonerà in chi è ugualmente sensibile, come un diapason fa vibrare il suo simile. Naturalmente, come una medesima frequenza condiziona diversamente diapason diversi, così il sacro è da ognuno diversamente recepito.
Molti linguaggi necessitano di grande esercizio e abnegazione, altri d’un grande lavoro di pulizia interiore, altri ancora di una vasta conoscenza o di una pratica indefessa: ma il sacro è sempre disponibile a farsi accogliere dove trova uno spazio conveniente, nella lettera d’amore di un’adolescente, nella voce di un bambino, nelle mani di una nonna che stende la sfoglia con il mattarello. Chi pensa che l’arte sia a tutti costi emozione, complessità, stupore, solennità o eccellenza, a mio parere, s’inganna: non sa più apprezzare una luna senza dito, un viso senza belletta, una voce senza birignao. Arte è la cosa giusta al momento giusto, quel movimento perfetto, né sciatto né affettato, oltre il pensiero e prima dello sforzo: il sacro, appunto.
Similmente, anche la cosiddetta arte culinaria può manifestarsi in un raffinato haiku di sapori, tanto più prezioso in quanto condivide la fugace e commovente bellezza del màndala di sabbia e dell’ikebana, così come nel greve elaborato concettuale di una personalità debordante o nella vacua messinscena di un callido cuoco. Dove manca un senso, il cibo decade da servizio sacro a merce.
Una merce che, è sempre bene rammentare, non coinvolge solo i sensi ma penetra nel corpo e diventa sangue e carne.
Adriano Settimo Radeglia (Scultore)
Da bambino ho sempre sentito il bisogno di creare, di esprimere le mie emozioni, non era importante il mezzo, bastava un semplice disegno sull’asfalto con pezzi di tufo, un foglio di carta fortuito e una penna, un cartone e dei colori o modellare la cera delle candele. A me interessava fare, fare bene, era uno sfogo. L’entusiasmo di materializzare quel sentimento, quel pensiero, ancora oggi é tale, ho scelto di nutrirmi di questo, di dedicarmi a fare tutto ciò che piacevolmente mi emoziona. Fare arte è una scelta di vita, un bisogno, ciò che più di ogni altra cosa mi gratifica e mi fa sentire libero, quella libertà che va nutrita con la dedizione. È la relazione tra cuore, mente, gesto e materia per dar vita ad un’opera che è parte di noi, racconta di noi, ci somiglia. Un’opera a cui si dona identità e stile riconoscibile, riconducibile all’autore, che racchiude l’esperienza, la conoscenza e il percorso che, creando, amalgama alle proprie emozioni. E non ci si può improvvisare, non c’è spazio per la superficialità, non si tratta di cose.
Gioni David Parra (Scultore)
Quando Lucio Fontana fu invitato a far visita a Pablo Picasso ad Albissola si immaginò di trovare un uomo tronfio di successo e di gloria. Ebbene, una volta arrivato e presentato, con grande sorpresa si trovò dinanzi ad un uomo in preda alla frenesia e alla premura. Quasi fosse l’ultimo degli allievi arrivati a lavorare la ceramica. Continuava a toccare e ritoccare i lavori cambiando continuamente angolo di vista e postura del corpo. Preoccupato e ansioso come colui che tutto deve ancora dimostrare e conquistare. Racconto questo aneddoto quale miglior risposta al quesito che il Maestro Ramacciotti mi sottopone. Infatti è proprio così che si distingue l’ESSERE artista da migliaia di falsi o caricature. Lo vedi e lo distingui per questa Urgenza, per questa Necessità. A seguire riconoscerai “l’opera d’artista” perché sarà costituita da un linguaggio unico e riconoscibile. Niente sarà come prima, niente sarà se non corrispondente a quel nome, perché il suo nome sarà “AUTORE”. Allora sarai certo di poter accogliere in te la declinazione di un altro mondo. Sarà come sbarcare sulla Luna o conquistare Marte ma lo farai attraverso altri tempi e nuovi spazi. E non sarà uno scherzo perché la Storia trova la sua narrazione da sempre in questi protagonisti che chiamiamo “Pionieri”.
Akihiro Mashimo (Artista del Bambù)
Il mio primo incontro con il bambù è stato conun opuscolo che mi diede mia madre.
Era una guida per una scuola tecnica dove poter imparare l’artigianato.
C’erano molti tipi diversi di artigianato che potevi imparare in quella scuola, ma quello che scelsi fu subito il lavoro artigianale del bambù. Questo perché il bambù è un materiale che ho sempre sentito affine.
Il bambù è un materiale unico con una pelle esterna dura e una cavità all’interno. E l’arte dell’artigianato del bambù consiste nel modellare questo materiale per adattarlo all’antico stile di vita giapponese. Ogni giorno lottavo per gestire il materiale in questo modo.
Dopo la laurea, ho avuto la possibilità di lavorare per un’azienda gestita da un presidente, che era istruttore in una scuola tecnica. E da lì, mi sono completamente immerso nell’arte del bambù.
Vorrei spiegare un attimo cosa intenda per lavoro artigianale del bambù.
Il bambù appena cresciuto ha una sfumatura blu brillante, ma col passare del tempo cambia in bianco.
La superficie della pelle è liscia e fresca al tatto. Alla fine cresce oltre i 20 metri in tre mesi da quando spunta dal terreno.
Sin dai tempi antichi, si dice che la divinità risieda in tale bambù.
Ecco perché, anche ora, il giorno di Capodanno, un ornamento di bambù chiamato “Kadomatsu” viene posto all’ingresso di molte case e negozi come segno che la divinità scenderà dal cielo.
Nella storia più antica del Giappone “The Tale of Bamboo Cutter”, la protagonista è una principessa che nasce dal bambù e alla fine ritorna sulla luna. Il bambù è una pianta misteriosa.
Sono passati 20 anni da quando iniziai lo studio dell’arte del bambù. All’inizio ho faticato quotidianamente nel gestire il bambù. Oggi, creo opere d’arte mentre parlo con il bambù. Ora ho imparato a sapere che tipo di arte del bambù voglio fare e percepisco quale sia la forma che il bambù stesso vuole avere. Il bambù può assumere qualsiasi forma grazie all’uso delle mani. Ci sono infinite possibilità là fuori. Ai vecchi tempi, il bambù veniva utilizzato per costruire le pareti che venivano fissate in terra. Quindi, con lo sviluppo della cerimonia del tè, sono iniziate a comparire le recinzione di bambù. Ora può diventare una decorazione a display che viene illuminata, pur mantenendo il design classico. Soprattutto per quando il bambù viene illuminato c’è da dire che, cone le luci che fluttuano nel vento e si muovono sembrano davvero esseri viventi. Penso che simboleggi il modo in cui dovrebbe essere il bambù oggi, dove puoi sentire la natura e la vita in città.
Credo che toccare il bambù possa renderti felice. La ragione di ciò è che fa dimenticare alle persone il trambusto della città e impone le calma.
Con questo pensiero, sono arrivato a pensare che la mia missione è “far sorridere il mondo con il bambù”.
Spero che il bambù si diffonda non solo in Giappone, ma anche in tutto il mondo. Spero che le persone in tutto il mondo acquisiscano familiarità con l’arte del bambù e che il mondo si riempia di sorrisi a causa di esso.
Stefano Raffaele (Disegnatore)
Per quanto mi riguarda, cercando di essere il più sintetico possibile, l’essere artista vuol dire sentire nello stomaco di dover esprimere qualcosa, non riuscire a farne a meno, non poter vivere altrimenti, e cercare il linguaggio giusto per farlo, dentro se stessi, senza costrizioni.
Credo che la chiave per crescere sia fondamentalmente riuscire ad essere se stessi, magari riscoprendo anche il proprio essere stati bambini, quindi agire di stomaco, sulle nostre opere, e non smettere mai di meravigliarsi. La tecnica è importante solo fino ad un certo punto, ed è credo la parte più semplice da migliorare. Lavorare dentro di noi è più difficile.
Ringrazio ancora una volta questi artisti che mi hanno concesso il loro tempo e attenzione. Quello che amo nell’arte è la possibilità di contaminazione, di rinnovarsi costantemente senza diventare dei monoliti di pietra.
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18/05/20 Quindi lei parla giapponese?
Ogni qualvolta io spiego che insegno l’arte dell’ikebana mi vengono sempre poste due domande (non necessariamente nell’ordine che sto per trascriverle):
- Quanto dura una composizione?
- Ah! Quindi lei parla giapponese?
che poi è come chiedere ad un pasticcere se, dato che fa le brioches, sia francese.
Sinceramente io ho già difficoltà con l’inglese fin da piccolo, figuriamoci una lingua che nemmeno utilizza i caratteri nostri.
Ho la fortuna di avere diversi amici che praticano l’arte dello shodo e li ho sempre guardati con ammirazione (già io ho una pessima calligrafia italiana di mio…)
Poi, per i casi della vita, (annzi dei social e della quarantena) conosco una persona che tiene un corso online con video chiari e semplici (anche per chi è duro di comprendonio come il sottoscritto).
E qualcosa scatta. Per carità non diventerò mai un interprete di lingua giapponese, ma può essere l’occasione per imparare qualcosa di nuovo e che può essermi utile anche per l’arte dell’ikebana dato che i libri più interessanti sono, ovviamente, in lingua giapponese, per saper pronunciare bene i termini relativi a questa arte o sapere se, come successo in passato, un’insegnante non mi stia insegnando un termine che, in realtà, si riferisce ad altro.
Devo dire che tra l’altro che è un maestro paziente (o ha capito quale caso clinico io sia) e risponde ad ogni dubbio che si possa avere anche perché oltre al canale video ha creato un gruppo Facebook che si occupa sia della lingua giapponese sia della cultura di questa nazione molto cara a noi ikebanisti.
Ma lascio a lui la parola.
“Ciao a tutti,
mi presento, mi chiamo Mirco (Priori) e vivo in Giappone dalla fine del 2007.
Sono originario della provincia di Ancona, dove ho vissuto fino ai 19 anni quando mi spostai a Roma per studiare Giapponese.
Fin da bambino fui sempre affascinato dalla scrittura e dalla sonorità della lingua giapponese, e già da quando ebbi 14 anni non feci che desiderare di diplomarmi il prima possibile per poter iniziare a studiarla in modo serio, stressato anche dal fatto che dove vivessi fosse impossibile trovare qualcuno da cui impararla.
A Roma vissi 9 anni e fu un periodo dove mi dedicai a laurearmi in archeologia del Giappone e a diplomarmi all’Istituto Giapponese di Cultura. Il tutto avvenne compatibilmente al lavoro di interprete turistico e a quello di insegnante di italiano per stranieri, in una scuola del centro… ancora non so come sia stato possibile fare così tante cose tutte insieme.
Finiti gli impegni di studio, ad un certo punto della mia vita decisi a intraprendere un viaggio in Giappone al fine di viverci per un tempo necessario a perfezionare la lingua.
In Giappone arrivai con un visto turistico e dopo 3 mesi ebbi la fortuna di trovare lavoro in una scuola di italiano che investì su di me, dandomi la possibilità di ottenere un regolare permesso di soggiorno per lavoro. Da allora, un po’ senza pensarci passarono ben 13 anni.
Nei primi anni cambiai diverse scuole fino a che, nel 2012, iniziai a lavorare per un’azienda che si occupa di organizzare eventi musicali in tutto in Giappone. Dal 2012 gli anni passarono velocemente e il lavoro mi portò (e ancora mi porta) sempre in giro per tutto il paese.
All’età di 40 anni, un po’ anche su richieste di amici che mi pregavano di insegnar loro il giapponese, decisi di provare a farlo tramite un canale YouTube.
Questo canale nasce come un passatempo ma pian piano è diventato una vera e propria missione: quella di dare accesso allo studio del giapponese a tutte quelle persone che avrebbero sempre voluto farlo, ma che per i vari eventi della vita non hanno mai avuto mai occasione o possibilità economiche per soddisfare tale curiosità.
Con la pubblicazione di video a cadenza settimanale, oggi il canale ha compiuto poco più di un anno e devo ammettere che mai feci cosa più giusta nella mia vita! Grazie al canale sono letteralmente inondato di amore da parte di molti coetanei che mi ringraziano per aver dato loro la possibilità di realizzare un sogno.
In effetti questa cosa mi rende felice e delle volte mi sembra addirittura di star raccogliendo i frutti di un raccolto: quello di aver dovuto attendere impazientemente, letteralmente per anni, prima di diplomarmi al fine di accedere agli studi desiderati.
Oggi sono in grado di presentarmi e di proporvi il mio saluto grazie al gentile supporto offertomi da Luca e mi permetto di aggiungere che, sebbene il giapponese sia tutto fuorché una lingua facile, saperne qualcosina, altro non farà che irrobustire quel ponte di collegamento con il Giappone che avete edificato tramite l’arte dei fiori.
Un saluto dal cuore e vi aspetto su “giapponese con Miru”
Come capite dalla presentazione si tratta di una persona davvero notevole e l’invito ovviamente è di seguire il suo canale.
Ora io volevo lasciare le mie allieve, e chi ha bontà di leggere i miei post, con questo carattere del sistema di scrittura hiragana し, ma Miru みる san mi ha detto che sarebbe poco carino per cui vi lascio con questa parola いけばな con l’invito però a scoprirle entrambe.
Pronti ad iniziare?
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17/05/20 Omaggio al Maestro Giuseppe Carta
Alcuni giorni fa pubblicai un post molto importante per il sottoscritto perché conteneva un pensiero scritto appositamente dal Maestro Giuseppe Carta.
Invito a vedere le sue opere e le sue mostre perché davvero è incredibile come prenda frutta e verdura e le trasformi in qualcosa di succulento, luminoso, viene voglia di abbracciare le sue opere.
Mi sono permesso di usare una sua foto per la copertina perché la didascalia su Facebook era bellissima e consona con il nostro pensiero: “Un grande fico mi sovrasta, lui sa che con le ultime potature sarà ancora più forte e più generoso. La Natura è quella presenza forte e costante di cui tutti noi abbiamo gran bisogno per respirare e sentirci liberi.“
Ho chiesto quindi alle allieve (che già avevano potuto fare la lezione del IV livello “Vegetables and/or Fruits in an Arrangement” pre blocco causa covid19) e alle maestre di fare una composizione seguendo i dettami della scuola ovvero:
– a differenza del morimono non avremo obbligo di materiali da usare o spazi limitati
– la frutta/verdura si può tagliare, MA non si deve vedere la manomissione, deve dare l’idea di integrezza
– ci muoviamo nello spazio e dobbiamo creare qualcosa di artistico
a questo personalmente ho aggiunto che, in questo caso, loro si sarebbero dovute ispirare soprattutto alle atmosfere delle opere del maestro Carta.
Spero che il Maestro Carta gradisca il nostro sincero ed affettuoso omaggio ben lontano dalla magnificenza delle sue opere straordinariamente vivide.
(Silvia Barucci)
(Daniela Bongiorno)
(Lucio Farinelli – foto di Luca Ramacciotti)
(Patrizia Ferrari)
(Ilaria Mibelli)
(Ilaria Mibelli)
(Silvia Pescetelli)
(Silvia Pescetelli)
(Luca Ramacciotti)
(Rumiana Uzunova)
Non è facile in questo periodo di chiusura fisica e mentale mettersi a pensare o fare un ikebana soprattutto per quelle persone che sono state colpite negli affetti o che si sono trovate senza un lavoro o l’incertezza di riprenderlo. Per questo ringrazio chi si è sempre sforzato (fin dallo scorso marzo) a seguire le mie iniziative online o le lezioni virtuali ideate dal maestro Lucio Farinelli. Il nostro Study Group in Italia è stato sempre presente virtualmente cercando di portare avanti il proprio cammino e di questo sono fiero delle persone che compongono la mia squadra. Abbiamo risposto con posività al dramma.
Persone che si sono arrangiate usando il materiale che avevano a portata di mano, cercando di fare foto belle senza i mezzi necessari o l’esperienza o, come nel caso di Daniela, avendo a che fare con assistenti non… richiesti 🙂
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15/05/20 Live Instagram
Di necessità virtù recita un vecchio adagio e in tempi di distanza sociale si sono moltiplicate le dirette live su Instagram.
Sicuramente tra le più utili, per noi ikebanisti, sono quelle che provengono dai maestri giapponesi per più di un motivo (di cui alcuni davvero ovvi).
Mika Otani sensei ogni giovedì sta tenendo una diretta live che per l’Europa coincide con le ore 14.00. Dopo una prima dedicata ad alcuni ikebanisti che lei ha conosciuto provenienti da tutte le parti del mondo, ha iniziato a trattare vari temi che le vengono richiesti di volta in volta. Ha spiegato argomenti come Simple ikebana, Vasi di vetro e Miniature ikebana.
Stamani attraverso il canale instragram della scuola Sogetsu invece c’è stata una live della Master Instructor Koka Fukushima. Un bellissimo modo da parte della mia scuola di raggiungerci tutti e farci sentire una grande famiglia.
Ma veniamo al perché siano importanti le live dal Giappone.
La prima e più ovvia motivazione è che un’arte loro quindi chi meglio può spiegarla? E’ un po’ come il fatto che da tutto il mondo vengano in Italia ad imparare l’opera lirica o la lavorazione del vetro per fare due esempi.
Spesso, mi accorgo vedendo le foto online, nella scuola Sogetsu viene rifatta un’interpretazione “propria” di quest’arte ed è quindi bene conoscere la strada maestra.
Inoltre, nonostante la globalizzazione, molti materiali vegetali presenti in Giappone non sono trovabili da noi quindi è interessante conoscerli, vederli lavorare e possono essere di ispirazione per utilizzare cose similari che si trovano da noi.
Ogni Maestro Sogetsu giapponese ha il suo stile legato anche all’epoca in cui ha studiato e, soprattutto, avendo allievi da tutte le parti del mondo sono ricchi di imput da trasmettere e quindi ogni loro lezione, composizione è fonte di suggestioni, di idee, di tecniche che spesso le persone che hanno imparato ikebana fuori dal Giappone ignorano.
Vedendo queste live è un sollievo perché vengono realizzati ikebana che trasmettono poesia, freschezza e naturalità a differenza di quello che si vede online dove gli ikebana spesso sono fredde costruzioni di materiale inerme che non trasmettono né il senso di natura o di unità del materiale che la base di ogni scuola di ikebana.
Un ramo storto con un fiore appeso non è sempre un ikebana (dipende da come viene realizzato ovviamente) ed è ormai fuorviante vedere nei vari social persone improvvisarsi ikebanisti senza mai aver preso una lezione che ottengono più like di titolati maestri (che per primi dovrebbero cercare di fermare questo). Se il like fosse sinonimo di bravura allora non serve andare dai maestri? Studiare? Se io che non ho mai preso una lezione ottengo più like pubblicamente di maestri in grande attività o il maestro sta sbagliando il suo lavoro o magari ormai si preferisce la cosa sempre assurda e strana ad una poetica e che trasmetta amore.
Per questo sono importanti queste live che spero continuino anche post pandemia.
Vedere grandi maestri giapponesi all’opera è molto istruttivo e fa capire quale sia il giusto percorso da seguire.
Ad esempio nel concorso indetto periodicamente dalla scuola Sogetsu questa volta il tema è “Ikebana at Home”. Mi piacerebbe vedere come i maestri giapponesi scelgano il materiale, il vaso per realizzare questo tema dove l’ikebana è ambientato (un tema che troviamo al V livello di studio nelle lezioni Arrangements on the Table, Using Various Locations e Floor Position Arrangement) perché credo che l’ikebana debba comunque rimanere il protagonista della foto e non essere schiaffato in un angolo o tra oggetti o con il background sfuocato per farlo risaltare. In questi casi non è affatto integrato. Anche qui ci troviamo innanzi ad un delicato gioco di equilibri (comunque le foto del libro di testo nelle lezioni sopra citate sono molto chiare su come vada affrontato). Un tema difficile e complicato che spero si possa vedere in una live per comprenderlo meglio.
Inoltre da queste live possiamo imparare tecniche, oppure capire quali si adattano a certi materiali rispetto ad altre.
Stamani poi vedere Fukushima sensei fare la dimostrazione dalla stanza che nella sede principale della Scuola Sogetsu a Tokyo è adibita per le lezioni e dove anche io sono stato mi ha davvero emozionato e trasmesso la speranza è di tornarci presto.
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06/05/20 Giuseppe Carta
Premessa. Nelle scuole di ikebana abbiamo una composizione che si chiama morimono.
E’ una composizione tradizionale che nasce dall’usanza di offrire agli ospiti i frutti del raccolto (infatti non si utilizzano, ad esempio, con spine) di cui ho già parlato in altri post. Nella scuola Sogetsu si utilizzano bacche, radice e foglia non solo la frutta. Si abbinano questi materiali posizionandoli su una tavola di legno o su carta washi. In mancanza di questi va bene qualsiasi base purché delimiti lo spazio della composizione. Dobbiamo creare una forma con materiali che solitamente non vengono usati in ikebana andando a creare anche elementi come linea, massa e colore, ricordandoci che è una composizione che deve esprimere gioia essendo associata alla prosperità. “Un albero con radici che crescono nel terreno pieno di foglie e frutti” (frase tratta dal libro di testo). Nella scuola Sogetsu abbiamo anche un’altra tipologia di composizione che è Vegetables and / or Fruits in an Arrangement ovvero una forma “moderna” di morimono. Qui si può anche tagliare la frutta e combinarla con fiori (ma l’elemento di spicco deve essere la parte di frutta e verdura) per fare una composizione artistica. (ringrazio Mika Otani sensei per gli approfondimenti, su questo argomento, che mi ha fornito).
Tale composizione si ritrova anche nella scuola Ohara, come mi spiega la maestra Romilda Iovacchini: Nella scuola Ohara il morimono è unacomposizione di fiori, frutti, oggetti e verdura riuniti insieme su un ripiano in maniera armoniosa. Si possono utilizzare vari tipi di vegetali ed elementi decorativi tra cui: legni levigati dall’acqua o ricoperti di muschio, fiori e rami vari, capsule di loto, semi, frutti secchi, funghi, conchiglie. Frutti e legumi in piccole quantità quali limoni, zucchine, cocomeri cinesi, melograni, cachi, pesche, zucche nonché oggetti decorativi di vario tipo. I contenitori utilizzati devono essere bassi quasi invisibili, si possono utilizzare anche delle grandi foglie tipo di banano. Si deve mirare all’armonia dei vari elementi e non trasformare il Morimono in un insieme eterogeneo.
Quando nel 2017 visitai a Pietrasanta l’esposizione del Maestro Giuseppe Carta rimasi subito folgorato sia per questa mia base ideologica legata all’ikebana, sia perché le sue opere riuscivano a travalicare il concetto di iperrealismo, infatti i materiali utilizzati non parevano bronzo, alluminio o resina, ma realmente buccia, polpa dei frutti descritti. Nella foto di copertina di questo articolo (da me scattata) si vede parte della grande scultura che faceva da sfondo allo spettacolo “Il canto della terra” che fu messo in scena (per la regia di Luca Tommassini) ne Il teatro del silenzio di Andrea Bocelli l’estate stessa e sono sincero con sopra i giochi di luce dello show acquistava una maggiore tridimensionalità mettendo in risalto maggiormente le forme, i pieni e i vuoti.
Successivamente ritrovai un’altra sua opera esposta innanzi al Colosseo nell’ottobre dello stesso anno.
E’ incredibile come degli elementi spesso trascurati dall’arte perché poco significanti come può essere una cipolla o un peperoncino divengano nelle mani del Maestro Carta oggetti di una bellezza, di una luce, di un fascino particolare. Viene voglia di toccarli, perdesi nei loro cromismi.
Con la sfacciataggine che a volte mi contraddistingue ho chiesto al maestro un suo breve scritto per questo mio post e lui, come solo i veri grandi sanno fare con disponibilità, me lo ha fornito.
Fin dall’infanzia ho sempre creduto che ognuno di noi, e per noi intendo tutti gli esseri della nostra amata Terra, abbia avuto in dono la Vita, questa meravigliosa e misteriosa sequenza che ci fa nascere, crescere, maturare e infine morire, e abbia avuto nascendo il compito di non sprecarla e di rispettarla: è in ciò che io vedo la vera forza della Vita, della nostra vita.
Quando feci la mia scelta di vita e di professione non ho esitato a voler raccontare la realtà delle cose, a raccoglierle, a raggrupparle in un insieme animato e a testimoniare, attraverso il mio percorso pittorico e scultoreo, la loro esistenza e il loro esserci nel nostro vissuto ordinario, quotidiano, familiare, intimo.
Nelle mie opere cerco di raccontare quel sentimento di Appartenenza, Resistenza e Resilienza che è in ognuno di noi perché in tutti gli esseri animati e in tutte le cose inanimate vi è, senza alcun dubbio, la voglia di esistere e di adattarsi pur di vivere, la Natura ogni giorno ci dà grande prova di questo.
È alla Natura e alla Terra che la genera che io da sempre mi ispiro: come un contadino la coltivo, la indago ogni giorno nelle sue continue, molteplici, miracolose trasformazioni, la porto nelle mie opere e apparecchio idealmente la mia tavola fatta di colori, pochi ed essenziali, di luce e di ombra per dare al quel mistero che è la Vita della Natura corpo e anima, non aggiungo oltre ciò che vedo, sottraggo tutto ciò che è superfluo per esaltare e celebrare la materia di cui è fatta la Natura.
Mi dicono spesso che le mie opere creano forti emozioni e che sono più vere del reale, certamente questo mi lusinga molto come uomo e come artista, in realtà io amo raccontare, attraverso una indagine meticolosa dei dettagli e dei particolari, l’imperfezione delle cose e di quanto la loro esistenza sia estremamente fragile, precaria, appesa ad un filo, un credo, una speranza.
Giuseppe Carta
Banari, 5 maggio 2020
Gentilmente (e ringrazio anche la moglie, la signora Giovanna Licheri) il Maestro mi ha inviato anche le foto delle sue opere da pubblicare e segnalo che:
la foto della Melagrana innanzi al Colosseo, così come quella dell’installazione dei Peperoncini presso il chiostro di Sant’Agostino sono del fotografo Stefano Marinari.
mentre per il grande peperoncino “The red giant” posizionato a Pietrasanta, nella piazza del Duomo San martino, il fotografo è Tiziano Canu.
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06/05/20 L’equilibrio della comunicazione
In questo periodo di quarantena si è incrementata una nuova metodologia di divulgazione che è la diretta sui social quali Facebook o Instagram.
Soprattutto, se prima ognuno faceva la propria diretta nell’ambito del suo canale, e quindi per un pubblico mirato, ora si sta vedendo l’unione di più discipline.
In Italia sono stato interpellato anche io per ciò che riguarda il mondo dell’ikebana sia con un’intervista ideata dall’artista Umberto Cinquini (che si può seguire qui) sia nell’ambito del prestigioso forum Adjiumi (visibile qui per gòi iscritti al gruppo) che si occupa del mondo dei profumi.
Ed è proprio in merito alle considerazioni nate durante questa diretta, grazie anche alle domande attente ed intelligenti dei partecipanti, che sto scrivendo questo post.
Prima di tutto è differente fare un ikebana per la propria casa ed uno per una mostra pubblica proprio dal punto di vista olfattivo.
Se noi non soffriamo di alcuna allergia in un ikebana casalingo potremo utilizzare la mimosa, il giglio (o lilium), il glicine, la tuberosa o il lillà per citarne solo alcuni (poi ci sono anche allergie tattili come per gli abeti o la tuya).
Diversamente in uno spazio chiuso perché dovremmo sempre pensare che le persone che vengono ad ammirare i nostri lavori potrebbero o avere reazioni allergiche (ad esempio con la mimosa) o essere infastiditi dai forti sentori (glicine o la tuberosa) oppure fare spiacevoli associazioni (il giglio si usa spesso per le tombe).
Nessuno ci vieta di usarli ovviamente, ma dobbiamo tener conto non solo dell’aspetto del nostro lavoro, ma di ciò che esso comunica olfattivamente alle persone.
Solitamente, per esperienza, ho sempre visto che un materiale che si abbina ad un altro propone anche un equilibrio olfattivo oltre che di forme e di colori. Infatti pensate ad un possibile ikebana con mimosa, giglio, glicine e magari come rami l’eucalipto. Non solo avrete una cacofonia di forme e colori, ma anche di odori che si urteranno gli uni con gli altri (nella nostra scuola c’è un importante ikebana che ci insegna proprio questo ovvero il Mazezashi dove si utilizzano almeno 5 materiali differenti).
Quindi realizzare un ikebana è “come comporre” un profumo. Ci devono essere equilibri, non un fuoco di artificio che esplode subito appena lo si vede e poi non lascia traccia in noi.
E lo stesso si dovrebbe tenere di conto quando utilizziamo materiale secco (anche i fiori essiccati o rami trattati hanno un loro sentore, magari poco percettibile, ma lo hanno) o soprattutto colorato (tutte le vernici hanno un odore).
Non è detto che un sentore che noi non percipiamo non sia avvertito da un’altra persona con un olfatto, magari, migliore del nostro.
L’ikebana è un equilibrio di forme (anche in rapporto al vaso utilizzato che nella Sogetsu non è mai visto come un “semplice” contenitore), di colori e di sentori.
Noi dobbiamo comunicare armonia, pace, serenità a chi vede il nostro lavoro.
L’ikebana, in Giappone, fa parte delle “arti fini” e di questo dovremmo sempre tenerne conto.
Se facciamo sempre e solo una cosa strana, e non una forma naturale, c’è da chiedersi cosa si stia comunicando e soprattutto se siamo in grado di esprimerci davvero attraverso questa arte.
E’ più difficile fare un nageire base (sia per tecnica sia perché hai delle posizioni di rami obbligatorie) che frullare il materiale e reincollarlo e poi poggiarlo su un vaso.
C’è anche da capire la sottile linea di confine che esiste tra l’ikebana e il flower arrangement, una linea che spesso vedo travalicare. Non è facile fare uno stile particolare (magari utilizzando materiale non convenzionale o secco/colorato) rimanendo nell’ambito dell’ikebana. Anche perché il simbolo principale dell’ikebana è il fiore e spesso viene omesso in certe composizioni visibili online (We have ikebana because we have the flowers. Ikebana could not develop in a place with no flowers – a fact that is as true today as ever. – Sofu Teshigahara: Kadensho).
A volte ho la sensazione di vedere quei disegni in 3D che nascondono le immagini da indovinare, una grande confusione in cui non tutti possono percepire il disegno sottostante che forse non è così degno come il gioco proposto.
Parlando di pubblico dovremmo tenere conto anche del fattore colore.
Possiamo dire che in ikebana il verde è un colore primario sia per la quantità presente nei materiali vegetali sia proprio per un concetto della scuola Sogetsu dove si studiano tutte le sfumature che il colore verde possiede e che la natura ci propone (Green Plant Materials). Nella nostra ipotetica mostra dovremmo anche pensare che ad alcune tipologie di persone discromatiche l’abbinamento di materiale verde/rosso potrebbe dare fastidio agli occhi (The Sogetsu style always strives for originally. This is not necessarily the same as exocitism – the exotic and the original are usually completely different things. Relying only the exocitism can result in very crude work. – Sofu Teshigahara: Kadensho).
Non stiamo parlando, in una mostra, in un libro, su internet, a noi, ma ad un pubblico e dovremmmo pensare sempre a ciò di cui stiamo parlando, comunicando (When painting a picture, one faces the canvas and begins adding strokes one by one. At the point the painting is finished, the brush is put aside. With ikebana, the extra “brush strokes” are taken away, one by one. Leaves and flowers, overabundant in nature, are cut away, and the work is finished when the right balance and form appears. Using materials as they are found in nature is like having a painting with too many brush strokes. – Sofu Teshigahara: Kadensho).
In caso differente, se siamo chiusi nelle pareti di casa nostra possiamo fare quello che vogliamo perché la comunicazione è solo fine a noi stessi.
Credo che, come tutte le arti, anche l’ikebana (soprattutto nel caso della scuola Sogetsu) si debba porre la domanda se stiamo parlando a noi stessi o se stiamo comunicando. Le varie correnti artistiche occidentali non sono mai nate per l’idea personale di un artista, ma per ciò che stava accadendo nel mondo, le contiminazioni culturali e anche le scoperte tecnologiche.
Quando realizziamo quindi un ikebana per il pubblico dovremmo pensare a tutta la storia artistica avvenuta prima e connaturare il nostro lavoro nel mondo attuale che stiamo vivendo.
Sennò è una comunicazione tra sordi.
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