Monthly Archives: luglio 2017
27/07/17 Il daltonismo botanico
Nel mio lavoro (teatrale) mi è capitato una volta in una tournée uno scenografo… daltonico. In quel teatro lo tenevano perché era tanti anni che lavorava in quel posto, ma aveva problemi con i colori. Il suo assistente gli porgeva i colori che, secondo lui, erano giusti. Capisco che tutti abbiamo da lavorare, ma come si può pensare di fare un lavoro che ha a che fare con dei colori che… non conosciamo?
La stessa cosa avviene in ikebana se non sappiamo il nome del materiale usato sia da noi sia proposto agli allievi. E’ una specie di daltonismo botanico.
E’ impossibile conoscere tutti i materiali? Ovviamente non siamo Linneo o uno dei suoi successori per cui dobbiamo interpellare chi ne sa più di noi. Nel mio specifico o compero le cose presso i rivenditori (e loro sanno come si chiama il materiale che vendono ovviamente) o rompo le scatole a Silvana Mattei (scuola Ohara) o a Paco Donato che conosce anche il singolo filo d’erba dell’Orto Botanico dove lavora.
Se noi vediamo i libri di ikebana (di testo o meno), le riviste, i moduli da compilare per concorsi (seri) come quello della Sogetsu c’è sempre scritto il nome del materiale, o nel caso del concorso, di indicare i materiali usati.
Se troviamo in un bosco del materiale che ci piace e non sappiamo il nome? Si guarda su internet, si chiede a persone del luogo oppure si usano le applicazioni adatte che, come detto prima, per me si chiamano Mattei e Donato 🙂
Mi è successo più volte di ricorrere a loro perché morirei dalla vergogna se una persona mi chiedesse il nome del materiale da me messo in ikebana e non lo sapessi. Sono i nostri “strumenti” e non li conosciamo? Che diciamo passami quel coso lì? Quell’altra cosa?
Sarebbe come lo scenografo che usava i colori senza conoscerli. Assoluta mancanza di professionalità.
Enciclopedie a tema, internet, tutto può essere utile perché se facciamo il cammino dei fiori (qualsiasi sia la motivazione) li dobbiamo conoscere sennò il nostro percorso sarà simile al quadro di Pieter Bruegel il Vecchio denominato La parabola dei ciechi.
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23/07/17 La difficile arte di saper scegliere il Professionista giusto
(casa e foto di Giuseppe Cesareo)
Spesso sul lavoro mi dicono che io scelgo gli amici, in realtà con gli amici vado al ristorante o a fare una gita mentre lavoro con chi so essere realmente un professionista. Se poi con il professionista si diviene pure amici, il discorso cambia. Ma non ho mai confuso amicizia con professionalità né con scambio di favori in vista di piani futuri né ho mai fatto “alleanze” di comodo. Se io pago, voglio essere il primo ad essere soddisfatto di ciò che imparo, sennò mi rivolgo altrove.
Con Giuseppe Cesareo prima è nata l’ammirazione per il suo lavoro e poi, di conseguenza, l’amicizia. Di lui ho parlato in vari post (ricordo qui solo alcuni titoli: La Giornata della Terra, L’amicizia è il massimo alimento della felicità umana, Questioni di luce, Foto & Colori, Attraversami il cuore, Metti un fotografo a lezione, A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?, ma potrei citarne molti altri) e torno a farlo oggi perché tre allieve del gruppo di Roma sono andate da lui per imparare ad usare correttamente la loro macchina fotografica, a capire come inquadrare, scattare, editare le foto. Ho scelto Giuseppe perché pur essendo un fotografo a 360° ha seguito spesso i nostri passi e ben sa come si fotografano gli ikebana.
(Autoscatto di Giuseppe Cesareo. Da sinistra Silvia Sordi, Anne Justo, Daniela Bongiorno e l’insegnante)
Alla lezione teorica di ieri è subentrata quella pratica odierna ovvero come si fotografa BENE un ikebana.
Anne Justo e le due allieve (Silvia Sordi e Daniela Bongiorno) hanno realizzato a casa dell’insegnante un ikebana che poi è stato fotografato e la fotografia editata. Questo forse è il punto più delicato dell’intero processo perché spesso si vedono ikebana circondati da un alone di luce (che nemmeno Patrick Swayze nel finale di Ghost) in maniera da distrarre l’occhio da eventuali errori tecnici od estetici. Poi ci son foto con pretese artistiche, ma che sono semplicemente brutte o male inquadrate (magari un ikebana che viene “schiacciato” dall’inquadratura).
Quando io ero studente nessun insegnante ha mai dato importanza alla foto non so se per pigrizia o cecità verso la società moderna per cui per me gli incontri fatti su flickr furono di un’importanza vitale come i consigli che diedero a Lucio Farinelli per ciò che concerneva le foto e il look del nostro sito (www.sogetsu.it). Se vedete le foto fatte alle mie lezione da studente bè… Dario Argento le userebbe per qualche suo film tra mancanza di luce, colori di sfondo delle pareti fosforescenti ed inquadrature errate.
Certo si viene a scuola di ikebana, perché sbattersi per le foto? Perché come fa ben capire il libro del V livello della scuola studiare ikebana Sogetsu vuol dire aprirsi a 360° alle arti e farle tutte influire in essa. Ovviamente nulla di obbligatorio (e infatti di tutto il gruppo di Roma solo tre allieve erano interessate ad imparare a fare belle foto dei loro lavori), ma diciamo che cerco di dar loro una marcia in più. Forse proprio per quello che ho sentito come mancanza quando io studiavo, ma voglio che le mie allieve facciano un bellissimo percorso lungo la via dei fiori. E per questo mi rivolgo a quei professionisti che ho testato in quanto tali.
Le persone che si improvvisano non le coinvolgerò mai nelle mie attività, nè saranno mie amiche. Insegnare qualcosa che non si sa, o non si conosce perfettamente come l’Ave Maria per me è solo truffare il prossimo.
Grazie a chi mi segue in tutte le diramazioni della via dei fiori e ai maestri come Giusepep Cesareo che ci offrono il loro sapere.
(foto di Giuseppe Cesareo)
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03/07/17 La Creatività
Questa potrebbe essere la mia espressione quando vedo certi ikebana della mia scuola pubblicati online. Questo perché a volte ci si chiede cosa stia accadendo all’interno del mondo dell’ikebana. Come spesso ho ricordato in questi post le maggiori scuole di ikebana hanno un percorso di studio fatto da vari stili e, una volta diventati Maestri, ci si può dedicare allo stile libero mentre per la Sogetsu si ha due livelli di stile base che permettono di acquisire una spazialità a 360 gradi e un occhio su movimento, pieno, vuoto, asimmetria, equilibrio ed ovviamente armonia a cui attingere quando si faranno temi del III e IV livello che prevedeno lo stile libero e la creatività.
E qui iniziano i problemi. Come dico sempre a lezione essere creativo non vuol dire prendere le regole imparate nei primi due livelli e gettarle alle ortiche perché si fa stile libero, ma vuol dire “applicarle” in maniera consapevole. I rapporti tra il materiale vegetale e il contenitore sono quelli appresi nei primi 2 livelli. L’importanza dello spazio tra gli elementi, il movimento, le inclinazioni, l’abbinamento del materiale etc restano anche quando si mette in campo la propria creatività.
E se non siamo creativi? Tre possibili opzioni mi vengono in mente. Si fa sempre il solito ikebana come forma (anche cambiando materiale la forma è riconoscibile), “lo si fa strano” per buttare sabbia negli occhi oppure (e meglio) attingiamo dagli stili base per sviluppare gli altri temi. Se temiamo di rovinare il nostro materiale vegetale prima possimo fare dei disegni, oppure utilizzare del materiale non vegetale per capire la forma che andremo a realizzare. L’importante è l’onestà intellettuale.
La mia difficoltà nei workshop è di avere un tema, dei materiali, un contenitore e decidere in pochi secondi cosa fare perché gli ikebana che faccio e pubblico sono frutto di un’improvvisa immagine esplosa nella mia mente come accaduto anche ultimamente per il progetto su Matteo Torretta quando tutti i pezzi del puzzle sono andati a collimare. Sono poco creativo? Può essere. Ho poca esperienza? Sicuramente dato che è solo dal 2005 che studio questa arte anche se con il maestro Farinelli e il mio gruppo siamo riusciti a fare dei progetti che nessuno in Italia aveva mai fatto prima. Ma questo solo perché, seguendo i dettami della scuola, cerchiamo di esplorare tutte le possibilità che questa arte offre.
Questo ikebana (che pubblico ad insaputa degli autori e me ne scuso) è stato realizzato da Lucio Farinelli assieme a Ilse Beunen durante la lezione che lui ha ricevuto durante lo scorso fine settimana. Se io amo molto lavorare con le foglie, Lucio preferisce i rami, ma entrambi non si sarebbe mai pensato ad una soluzione del genere. Da anni seguiamo il lavoro di Ilse e la sua newsletter (oltre ai libri) e ne ammiro la professionalità, la serietà, l’umiltà e soprattutto la creatività. Vera. perché sottolineo vera? Perché (e si ritorna alla foto di apertura del post) spesso vedo ikebana che si capisce che sono fatti strani per colpire, ma che non seguono nessun dettame della mia scuola o i 50 Principi. Invece Ilse riesce a plasmare il materiale nelle sue mani rispettando ogni singolo precetto della scuola e quando vedi un suo ikebana senti un sorriso comparirti sul volto e nell’anima. Anche durante i suoi workshop Ilse riesce a comunicarti tutto il suo sapere, la sua passione, le sue idee e tu rimani tanto affascinato da non sentire il “peso della correzione”, ma la felicità di averle. Non si sta sulle uova temendo di romperle, ma ci si lancia in un salto mortale sapendo che lei ci insegnerà ad aprire il paracadute al momento giusto. Lucio stesso mi ha detto che ha provato moltissima felicità nel fare ikebana con lei durante questi giorni e (beato lui) ha imparato molte cose nuove. Io posso solo ringraziare di aver incontrato nel mondo dell’ikebana persone davvero grandi che non devono mostrare titoli perché ciò che fanno parla per loro.
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