Monthly Archives: Maggio 2017
29/05/17 Il sogno di Nabucodonosor
(Ikebana e foto di Giulia Piccone Italiano – vaso di Sebastiano Allegrini)
Nella sua penultima newsletter Ilse Beunen torna a parlare degli stili base della scuola Sogetsu che si affrontano nei primi livelli.
Come già scritto in altri post i nostri libri di studio si dividono in Kakei (1 e 2 anno) e Composition and Line, Color and Mass (3) e Material and Space (4) più il recente libro del V livello (Techinique and Creation) per chi vuole divenire insegnante dove si ripercorre i 4 livelli andando focalizzarsi su tecniche, estetica o principi basilari come la copertura del kenzan che essendo uno strumento (come gli agganci per vaso alto tipo Tate-no-Soegi-dome o Jumonji-dome o per il vaso tsubo Kousa-dome o il Kugi-uchi Kousa-dome) non fa “parte” del nostro risultato finale.
Ilse in questa newsletter ricorda la sua esperienza di studente comuna a molti (me compreso). Facciamo tutti gli stili base quasi con fretta tutti tesi ad utilizzare fiori particolari o realizzare free style. Ed è un errore. Su questo io a lezione non transigo perché i nostri stili base (e e le loro variazioni) sono i mattoni su cui si costruisce il tutto. Se la base è di argilla (ed ecco spiegato il titolo) al prmo masso che cade tutta la nostra impalcatura crollerà. In questi anni di lezione (Ilse ricorda che lei insegna da 20 anni per cui è un’esordiente rispetto al 70% grandi maestri che praticano ikebana e quindi io sono ancora un lattante) ho visto gente non considerare gli stile base, non voler imparare bene le tecniche base e crollare miseramente al III o IV livello. Come ricorda Ilse nella sua newsletter citata questi stili non solo sono la base della nostra creatività, ma per esercitarsi possiamo ricorrere a loro e da lì partire la nostra fantasia. Gli stessi insegnanti ogni vota che ad un allievo spiegano gli stili base, i principi vi trovano nuovi spunti di riflessione, migliorarne la pratica con qualsiasi materiale che abbiamo a disposizione.
Ieri avevo lezione di ikebana con Lucio Farinelli e la neo maestra Giulia Piccone Italiano (Yuki Mi il suo nome da insegnante). Giulia era venuta proprio per una lezione di allenamento e per chiacchierare un poco di storia e “filosofia” dell’ikebana e della nostra scuola. Assieme abbiamo ripassato i 50 Principi della Sogetsu e realizzato un nageire ed un moribana.
Il nageire è un poco la “bestia nera” di quasi tutti gli allievi di ikebana perché è difficile tecnicamente. Se vai poi a spostare il vaso con la composizione questa non deve muoversi o cadere. Ne so qualcosa io che un’insegnante per tre anni mi ha solo fatto fare nageire ed io ho subito la sua decisione perché se vado da un maestro accetto sempre quello che mi dice. Non ho mai capito quegli allievi che contrastano un maestro. Se non lo apprezzi lo cambi, se resti bè… segui quel che ti dice. Cambiare maestro serve solo se vuoi fare un upgrade non per finire a rifare le stesse cose. In quel caso aveva ragione il maestro lasciato.
Di contro il moribana se è più facile tecnicamente (grazie al kenzan) hai anche una maggiore “superficie” da andare a riempire senza… riempire.
Ieri quindi Giulia per prima cosa ha messo nel vaso alto l’acqua (non si può pensare ad un ikebana senza acqua!) e poi ha realizzato il suo nageire e anche la foto. Voglio che ogni maestro da me diplomato sappia fotografare i suoi ikebana. Devo dire che per essere la sua prima volta Giulia non se l’è cavata male. Non le ho suggerito né luci né inquadratura o altro. Credo sia importante fare errori per comprendere e migliorare. Capita che uno faccia una dimostrazione, partecipi ad un workshop, ad una conferenza, una mostra e non è detto che ci sia sempre un Ben Huybrechts a portata di mano. Inoltre la fotografia è come un’impronta digitale. Si riconosce l’autore sempre. Si vede se uno fa foto sia per lui sia per gli allievi, se le foto son tutte diverse per stile, luci, editing o altro. Non c’è trucco nè inganno. L’obiettivo è appunto.. tale.
A volte a lezione avanza del materiale che spartiamo con le allieve (non voglio che accada come a me che una volta a lezione dovetti farmi cedere da Lucio i fiori che avvea usato per il suo ikebana perché non ce ne erano a sufficienza e non potevamo tagliarli come volevamo perché dovevano bastare per tutti) e a casa se non abbaimo idee… ci alleniamo in tecniche, in ripasso. E’ incredibile dopo anni di studio come, rivedendo gli stili base, non solo si comprenda la genialità di Sofu Teshigahara, ma come in essi vi siano spunti di riflessione. E lui stesso iniziava ogni anno realizzando uno stile base.
C’è, ad esempio al II livello, la IV variazione dove viene “tolto” uno dei tre rami principali. Un allievo potrebbe dire: “Vabbè che sciocchezza. Si toglie solo un ramo”. In realtà prima di tutto non dovremo solo, ovviamente togliere un ramo, ma non far percepire la sua assenza (tra l’altro si tratta del Soe il ramo che rappresenta l’uomo non quello principale – Cielo- o il fiore – Terra) e creare una tensione tra Shin e Hikae. La difficoltà maggiore poi in quesa variazione è quando si va a realizzare l’hanging.
(schema realizzato da Moris Vincoletto su permesso della scuola Sogetsu)
Lo Shin va ad incurvarsi dai 45 ° rivolti verso l’alto in basso e per questo si deve scegliere un ramo che sia facile da piegarsi, incurvarsi. Dovremo avere un risultato “morbido” elegante, non una freccia puntata verso il tavolo.
Ci ricorderemo di questo stile quando faremo i temi di Massa e Linea, o lo Spazio al di là del contenitore. Come si vede quindi da un “semplice esercizio tecnico” già ho individuato due possibili temi da concatenarsi, ma ce ne sono anche altri ricollegabili ad esso, E così avviene per ogni nostro mattoncino che farà che la nostra strada sia ben asfaltata e non un campo minato.
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28/05/17 Grazie
Spesso, durante un cammino, siamo così presi dal nostro percorso da dare per scontato ciò che la gente ci ha insegnato. Stamani volevo usare un vaso fatto a lezione con il maestro di ceramica Sebastiano Allegrini che ancora non avevo utilizzato. L’idea era di unire del trachelium con un meraviglioso materiale dorato che il maestro Lucio Farinelli mi aveva portato dal Giappone. Purtroppo questo materiale se si bagna si sciupa e il vaso non si adattava all’uso di fialette per cui ho dovuto rinunciare (al momento) alla mia idea iniziale.
Quindi i primi due grazie a Sebastiano e a Lucio.
Grazie alla maestra, della scuola Ohara, Silvana Mattei che quando per la prima volta mi fu dato, durante una lezione questo fiore, e nessuno ne sapeva il nome lei lo identificò subito con la sua immensa cultura botanica (lo confesso la sfrutto spesso). Non si può usare un materiale senza saperne il nome su questo ha ragione sia lei sia la maestra Ilse Beunen.
Ringrazio entrambe che mi spronano ad uno studio che non è indifferente a questa arte.
Un grazie immenso a chi mi ha insegnato. Due visioni differenti. La prima che mi ha fatto incamminare lungo il sentiero dei fiori mi ha dato il colpo d’occhio, l’artisticità della Sogetsu e la sua tipica tridimensionalità e la seconda mi ha insegnato tutta la tecnica possibile e immaginabile.
Grazie a Ben Huybrechts. Il workshop che tenne da noi due anni fa fu illuminante per me. Per la prima volta In italia un fotografo specializzato in fotografia di ikebana ci parlò della sua esperienza, ci diede suggerimenti su luci ed editing.
Stamani ho ringraziato tutti loro (e quasi tirato giù qualche santo) perché i loro conisgli sono stati utili sia mentre cambiavo la mia idea iniziale sia perché le foto erano di una bruttura incredibile. Era sbagliata la luce, lo sfondo, il riflesso sul vaso che ne mutava il colore. Non sono un fotografo professionista, ma questo non giustificherebbe le mie manchevolezze. Anzi devo spingermi a fare sempre del meglio.
Per queste persone che mi stanno insegnando da anni.
La riconoscenza è fondamentale per progredire. Non si può solo pretendere o dare tutto per scontato perché i fiori non lo sono.
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27/05/17 Studiare senza riflettere è inutile. Riflettere senza studiare è pericoloso.
Inizio questo post con una massima di Confucio che ben si adatta al percorso che fa uno studente di ikebana all’interno della mia scuola. V livelli di apprendimento (IV se uno non vuole diventare maestro) ognuno dei quali vanno ben assimilati, introiettati, compresi. Per questo le mie allieve fanno un livello all’anno. Fare le corse nello studio in generale, e soprattutto dell’arte, non portano ad un vero apprendimento, ma solo ad una conoscenza superficiale. Per questo io mi documento e studio di continuo, voglio che le mie allieve abbiano insegnamenti concreti non le perle di saggezza di Osho. A giorni con alcune di esse andremo a fare lezione a Merano e questo mi fa piacere perché il nostro gruppo è solido e connaturato da divertimento ed amicizia. I livori li lasciamo fuori dalla sala di ikebana, non facciamo come persone che scrivono proclami su internet per spiegare che sono brave persone illuminate vittime del fato, come si dice dalle mie parti fatti non parole.
Ma torniamo allo studio dell’ikebana e ciò, che per me, comporta.
Da due anni affianco ad esso lo studio della ceramica perché la nostra scuola prevede che un maestro sappia anche ideare, progettare e creare i vasi per i suoi ikebana. Lo stesso fanno le mie allieve e ovviamente il maestro Lucio Farinelli. Siamo gli unici in Italia ad aver dato questa impostazione importante per la nostra crescita anche se, ovviamente, prima di tutto si deve imparare l’ikebana. Troppa carne al fuoco non viene cotta bene. Non è che faccio ikebana, ceramica, cucina, abbraccio gli alberi e gite turistiche. Bisogna focalizzarci su un solo tema e ben svilupparlo. Per questo ho atteso 10 anni di studio dell’ikebana prima di cominciare i primi passi nel laboratorio del maestro Sebastiano Allegrini.
I risultati per ora non sono soddisfacenti per quello che mi sono prefissato, ma in due anni sto vedendo un lievissimo miglioramento dalle prime cose da me realizzate che parevano uscite fuori da Guernica…. Le tecniche per ora usate sono colombino (e qui diciamo che me la cavo) e lastra. Il tornio per me è ancora lontano, ma volutamente. La lastra per me è difficile e per questo le ultime cose le sto realizzando con questa tecnica. Non ho fretta. Devo imparare non realizzare. Sto studiando le forme che mi possono creare difficoltà tecniche, quelle che facilitano il mio compito, sto imparando come dare gli smalti, in quali combinazioni. Un lavoro che si prospetta lungo. Fortunatamente perché ho un maestro che vuole che impari non che produca vasi scadenti o che tiri a soddisfare il mio ego. E così anche la sua coinsegnante Angelica Mariani che ieri mi ha seguito nella realizzazione di un vaso a lastra con tecnica mista che mi ero incaponito nel realizzare. Studiamo forme, colori, suggestioni e ogni volta comprendo come io sia ancora una goccia in un mare immenso, come lo stesso nell’ikebana. Infatti nei 4 workshop che si terranno ad ottobre affronteremo temi mai realizzati in Italia proprio per continuare a crescere, studiare ed esercitarsi, perché, nonostante i traguardi raggiunti, io so di non sapere, non amo sedermi sugli allori o credermi arrivato. Quello è l’arrotino… o solo uno che non ha capito cosa voglia dire studiare un’arte.
Ecco alcuni vasi da me realizzati con l’aiuto del mio maestro.
(questo lo utilizzai per il concorso internazionale della Sogetsu che poi vinsi)
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24/05/17 C’è tutto un mondo intorno
Stamani mi è arrivato il nuovo numero della rivista riservata agli iscritti di Ikebana International, l’associazione che raccoglie le maggiori scuole di ikebana.
A Roma c’è il chapter da me presediuto, ma ancora per poco. Il testimone sta per passare a:
Lucio Farinelli (Presidente)
Romilda Iovacchini (Vice Presidente)
Silvia Barucci (Tesoriere)
Buon lavoro a tutti loro.
La rivista di Ikebana International è interessante perché oltre alle foto di ikebana (sia a “tema libero” sia dato un fiore vedere come le varie scuole lo vanno ad interpretaree) ci sono sempre articoli di luoghi, cultura e tradizione giapponese. Tutti temi che non solo possono essere di spunto per i nostri lavori, ma ci fanno maggiormente capire e “centrare” l’argomento ikebana.
Come scritto in altri post fare ikebana è una continua ricerca, sperimentazione, mettersi in gioco.
Per lo stesso motivo mi son subito preso l’ebook del nuovo libro del professore Aldo Tollini che ho già avuto la fortuna di ascoltare in conferenze presso l’Orto Botanico di Roma.
Dopo aver amato ed adorato i precedenti libri (Lo Zen e La cultura del tè in Giappone – questo donatemi dalla maestra Silvana Mattei) ho iniziato questo bellissimo nuovo viaggio ricco di informazioni che si legge come un romanzo tanto avvince ed affascina.
Il sito Einaudi lo presenta in questo modo:
“La Via occupa un posto di particolare rilievo nella civiltà giapponese medievale, dando vita, nelle varie forme in cui si manifesta, tra le quali la Via del Guerriero, del Tè, della Poesia, al nucleo fondamentale della cultura che si sviluppò tra i secoli XII e XVII. È il periodo in cui i samurai vennero alla ribalta della scena politica e sociale, e poi anche culturale, prendendo e gestendo il potere effettivo: un’epoca di sanguinose lotte, ma pure di una grande fioritura intellettuale che ha lasciato un segno indelebile persino sulla società giapponese contemporanea. Questo libro ripercorre le principali fasi dello sviluppo dell’ideale della Via, esplorandone la storia e le principali manifestazioni all’interno del pensiero dei samurai, nella poesia e nel Buddhismo. Guerrieri, monaci e poeti sono gli attori principali della scena medievale giapponese: nella pratica della Via, nella sua forma piú elevata, essi sono uniti dall’unico ideale del perfezionamento spirituale. “
Nell’introduzione si legge:
“”In estrema sintesi, si può affermare che la pratica costante della ricerca della perfezione da parte di chi percorre una Via comporta, per analogia, il raffinamento dello spirito, e ciò avviene attraverso l’interiorizzazione della gestualità esteriore, sia essa la gestualità ritualizzata del maestro del Tè, o del monaco che esegue una cerimonia, o allo stesso modo di un samurai impegnato a combattere, poiché mondo esteriore e mondo interiore sono in sintonia, e quello che si fa con il corpo si riverbera all’interno. E quindi diventa estremamente importante non solo quello che si fa con la gestualità, ma soprattutto come lo si fa. La ritualità dei gesti o la loro perfezione formale, entrambe acquisite con lungo esercizio, e di conseguenza la loro efficacia, sono il simbolo di una raggiunta perfezione interiore. In quest’ottica, la perfezione dei gesti del maestro del Tè che gli permettono di eseguire una «cerimonia» di alto livello artistico, o i gesti altrettanto rituali del monaco buddhista, che fanno sí che la sua «cerimonia» venga officiata secondo i canoni, o i gesti bellicosi di un samurai, minuziosamente calibrati con lunga pratica e che gli permettono di sopraffare l’avversario, possono essere considerati, nell’ideale della Via, sullo stesso piano: diversi per forma, ma tutti volti allo stesso fine ultimo. Esteriorità e interiorità si influenzano reciprocamente anche in senso contrario, poiché il perfezionamento interiore si manifesta esteriormente nell’esecuzione, la quale scaturendo da un cuore perfezionato si esplica nella perfezione formale. La Via, quindi, conduce alla creazione artistica, che è la manifestazione concreta della maturazione raggiunta nel percorrerla. Colui che «ottiene la Via», cioè, giunge a realizzare lo scopo della Via, qualunque essa sia: quando agisce crea.”
Credo che già solo questo estratto possa essere illuminante per chi studia ikebana (o un’arte orientale) e faccia comprendere, a chi si avvicina ad essa, come non ci si debba MAI stancare di ripetere gli esercizi, gli stili base, le tecniche. Quando lo scorso anno a Gand ebbi la fortuna, e l’onore, di partecipare al workshop tenuto dalla Iemoto della mia scuola Akane Teshigahara, seguii con emozione la sua dimostrazione non solo per gli stupendi ikebana che realizzò (creò è il termine più consono), ma perché pareva che eseguisse una danza. Era incredibile come spostasse la manica del kimono mentre tagliava un ramo o sistemava un elemento e, appena terminato, la manica ritornasse al suo proprio posto. Da solo questo sincronismo si capisce la preparazione intesa come nel brano sopra riportato.
Alle mie allieve da sempre consiglio non solo i libri inerenti la storia della scuola nostra (Sogetsu), ma anche di cultura generale giapponese perché sarebbe come studiare Michelangelo senza sapere in quel preciso momento storico cosa stesse accadendo in Italia.
L’ikebana non è solo disporre dei fiori, o fare una composizione strana, è un’arte a 360° come gli ikebana della Sogetsu che danno sempre idea di profondità e movimento, mai di muro. Perché al di là di essi c’è tutto un orizzonte da esplorare.
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15/05/17 La globalizzazione del fiore
Una lezione del V livello della Sogetsu per me è stata un po’ una “bacchettata sulle mani” e non credo solo a me.
Lo scorso anno quando ideai ed organizzai Essenza mi intestardii per l’ikebana della vetrina di usare le peonie bianche. Il mio fornitore mi avvisò che non era ancora periodo e che le poche sul mercato avrebbero avuto prezzi alle stelle (e così fu ).
Però fui felice perchè, pur avendo dovuto vendere un rene per acquistarle, erano di una bellezza unica.
(foto di Lorenzo Palombini – vaso di Sebastiano Allegrini)
Oggi il mercato internazionale dei fiori ti permette davvero di avere (quasi) tutti i fiori che vuoi in qualsiasi stagione e va benissimo, non poniamo freni alla fantasia (fondamentale poi in una scuola come la mia), ma ovviamente c’è un ma.
Recentemente in un gruppo su Facebook che si occupa anche di ikebana c’è stata un piacevole scambio di opinione su come gestire tempo e costi di un corso di ikebana. Per me è inconcepibile che un maestro di ikebana non abbia mai il desiderio di fare una composizione, di sperimentare vasi, materiali, stili. Che si “esibisca” solo in occasioni di mostre o dimostrazioni o feste comandate. Se si ama un’arte si pensa (e si investe) solo in quella come scrivevo in un mio recente post. Di contro (e tra poco chiudo questa parentesi infinita e mi ricollego al discorso iniziale) non è detto che per fare ikebana belli si debba avere chissà quali materiali spettacolari. Come dice Sofu Teshigahara nel Kadensho non è che se abbiamo fiori belli si hanno ikebana belli in automatico. Questo non vuol dire andare avanti a gerbere o rami che mentre si usano si spengono di inevitabile morte lenta e dolorosa. Agli allievi dobbiamo dare il meglio, noi maestri, invece, possiamo esercitarci con qualsiasi cosa. Ho la fortuna di lavorare con il maestro Farinelli che nell’organizzare assieme le lezioni riesce a fare un tetris di fiori da utilizzare per più ikebana dei vari livelli di studio. In questa maniera riusciamo a proporre ottimi materiali senza far ricadere la spesa sugli allievi.
E, torniamo finalmente in argomento, scusate mi son lasciato prendere dal discorso, nel V anno c’è una lezione che parla anche di questo: Seasonal Plant Materials, ovvero il godere di quei fiori che si trovano solo per quella data lezione, vedere come le piante mutino il loro aspetto durante le stagioni (il libro porta come esempio la Thunberg Spirea che è fiorita in primavera, ha foglie verdi in estate, cambia colore in autunno, perde le foglie in natura e non è facile da trovarsi nei negozi) e quindi sapere per ogni tempo come possono essere usate nelle nostre composizioni a seconda di quando le faremo.
E non si tratta semplicemente di fare un ikebana con i materiali di stagione (per cui non useremo materiali secchi o colorati che possono “appartenere” a qualsiasi stagione), ma di far partecipare la nostra gioia di creare con qualcosa che avremo in quel solo momento cosa che ormai non accade più con fiori come le rose oppure le calle.
Per questo all’inizio parlavo di “bacchettata sulle mani” ovvero di non lasciarci tentare dalle numerose paste in esposizione, ma ricordarci ogni tanto dei principi base della nostra arte.
Sabato scorso grazie a Cristiano Genovali (Presidente dell’Associazione Nazionale Piante e Fiori d’Italia) le mie allieve di Livorno hanno potuto usufruire della Nigella, Peonie, Viburno Opulus, Delphinium e i Fiordaliso. Mentre ero nella sua serra veder arrivare i fiori appena colti per me era molto emozionante, avrei preso tutto!
Per non sciupare fiori così delicati nel trasporto fino a Livorno li ho tenuti in un secchio con l’acqua calda (cosa abbastanza pericolosa in auto da solo visto che due anni fa ad una curva mi trovai… colpito da un’onda anomala all’interno del veicolo). Arrivati a destinazione sani e salvi ho spiegato alle mie allieve cosa dovevano fare e questi sono i risultati.
Nicoletta Barbieri
Silvia Barucci (vaso fatto da lei)
Ilaria Mibelli (vasi fatti da lei)
Per ultima ho tenuto Rosaria Malito Lenti proprio per il discorso che facevo all’inizio. Il primo ikebana di Rosaria è stato questo
poi utilizzando lo stesso vaso (realizzato da Sebastiano Allegrini) e le medesime peonie lo ha trasformato in questo con l’aggiunta del dephinium.
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13/05/17 è una festa mobile
(da sinistra Ilaria Mibelli, Nicoletta Barbieri, Rosaria Malito Lenti, Rosanna Lari, Silvia Barucci, Luca Ramacciotti – foto di Evi Malito Lenti)
Cito una celebre frase di Hemingway (nel titolo) perché oggi al Centro Asd Oriente di Livorno si è tenuta l’ultima lezione di ikebana delle allieve del V livello in vista della pausa estiva. Per l’occasione è venuta a trovarci Rosanna a cui abbiamo consegnato il certificato di IV livello in attesa che torni a riprendere la via dei fiori assieme a noi. Per noi rivederla è stata una festa ed è capitata proprio ad hoc per uno dei temi affrontati a lezione: Arrangements for Celebrations.
In questa lezone si va “oltre” al concetto studiato negli anni passati di un ikebana fatto per celebrare il Natale, la Pasqua o altre festività. Possiamo fare un ikebana per l’inaugurazione di un negozio, una festa di laurea, un matrimonio, tutto ciò che ci può venire in mente o richiesto ricordandoci sempre che il nostro lavoro deve esprimere felicità per l’evento in questione (sei anni fa ad esempio fui chiamato ad ideare ikebana come “display” per la collezione di gioielli della linea orientale di Antonella Piacenti a Sandrigo in provincia di Vicenza).
Sabato scorso a Roma Tiziana Biondo aveva fatto un ikebana per una laurea.
e stamani Lucio Farinelli per tifare Francesco Gabbani in concorso all’Eurovision.
Sia a Tiziana sia alle allieve di Livorno avevo chiesto di pensare loro a tutto, dal vaso, alla scelta della “festa” al materiale floreale.
Nicoletta ha ideato un ikebana volto a festeggiare il prossimo solstizio d’estate
Silvia si è lasciata ispirare da San Valentino
Rosaria ha pensato all’inaugurazione di una gioielleria e per questo ha inserito un gioiello nell’ikebana
e Ilaria ad una romantica cena
Faccio i complimenti a tutti loro per le idee avute.
Gli altri ikebana fatti a lezione, come sempre, saranno pubblicati sulla nostra pagina ufficiale di Facebook, ma lasciatemi aggiungere una foto.
Sempre al V livello c’è una lezione che si chiama Using Various Locations e a Livorno l’applichiamo da anni dato che finiti gli ikebana Rosaria e Nicoletta li posizionano in vari punti del centro.
Vi lascio con la foto di due di loro.
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12/05/17 Rose is a rose is a rose is a rose
Onorato e lieto dell’invito. Il workshop è aperto a tutti e… lavoreremo con le rose.
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09/05/17 Il vaso conferisce una forma al vuoto e la musica al silenzio
(Ikebana di Luca Ramacciotti – Vasi di Sebastiano Allegrini e Luca Ramacciotti)
Inizio questo post con una citazione di Georges Braque che ho utilizzato per il titolo perché stamani guardavo le ponie che avevo usato per il mio precedente ikebana e mi dispiaceva vederle lì nel vaso senza ancora una volta utilizzarle per un ikebana. Il maestro Farinelli stesso mi ha proposto, data la loro straordinaria bellezza, (e vorrei farvi sentire il loro profumo!) di non lasciarle sfiorire così e mi sono messo a riflettere.
Sofu Teshigahara nel Kadensho afferma: “C’è il fiore e c’è il vaso. Abbiamo bisogno del vaso perché abbiamo il fiore. Il tipo del vaso determina il fiore. Entrambi richiedono e definiscono l’altro. Il fiore è fatto da Dio, il vaso è fatto dagli esseri umani. Ogni cosa dipende dall’interazione di questi due oggetti. Il loro incontro sembra casuale, ma in realtà non lo è. La casualità è necessaria. L’ikebana è un mondo di incontri.
A disposizione avevo due tipi di peonie diverse per colori e forme, come potevo unirle insieme? Tra l’altro essendo molto aperte ponevano un forte problema estetico. Così mi è venuta in mente la lezione del terzo livello Two or More Containers; due vasi avrebbero potuto “reggere” l’impatto di questi importanti e un poco ingombranti fiori. Due vasi che mettessero in risalto il colore dei fiori.
Quando siamo a lezione insegnamo agli allievi l’argomento di turno, ma spesso ci si accorge come un tema in realtà spesso ne possa inglobare altri e questa è la genialità del percorso di studio ideato da Sofu. Infatti questo ikebana potrebbe appartenere tanto a Two or More Containers quanto a Color of Container (avevo deciso di usare due vasi diversi di colore), ma anche Shape of the Container perché non avrei scelto due vasi uguali o WhitnFlowers Only poichè non sarei ricorso all’aggiunta di rami o foglie o altro.
Il 48 Principio della Sogetsu afferma: Ricorda che ci sono sempre nuovi e sorprendenti temi e approcci per realizzare ikebana.
Per primo ho scelto un vaso del maestro ceramista Sebastiano Allegrini e davanti vi ho posto un mio piccolo vaso fatto a lezione da lui; ho guardato come abbinare le forme ed i colori tra di loro.
Per la foto avrei voluto lo sfondo bianco, ma… era a lavare. Per cui ho fatto ricorso a quello nero. Le peonie sono un poco sciupate è vero, ma le trovo lo stesso di una bellezza e delicatezze uniche.
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08/05/17 Anche l’arte ha la sua moralità
Inizio questo post con un’immagine che aveva pubblicato su Facebook la mia allieva Silvia Barucci e il titolo è parte di una citazione di Aldous Huxley che nella sua interezza recita: “Anche l’arte ha la sua moralità, e molte delle regole di questa moralità sono le stesse dell’etica comune, o perlomeno analoghe.”
Di carattere sono sempre stato portato (forse anche per i miei travagliati primi 24 di anni di vita per ciò che concerneva la salute) al “subito”, a non rimandare nulla perché come diceva un certo Lorenzo de’ Medici “di doman non c’è certezza.” Per carità non voglio fare come il frate predicatore del film Non ci resta che piangere, anzi vi lancio un trekker augurio di Live long and prosper, ma l’ikebana stesso ci insegna l’impermanenza della vita e la sua bellezza proprio in quanto transitoria.
Ieri mentre fotografavo questo mio ikebana
mi si presentava un problema immanente, ad gni scatto le peonie gialle si aprivano sempre di più (non vi dico ora che cosa sono di grandezza!). Una difficoltà per me, ma sarebbe stato bello filmare questo processo e “registrare” il profumo che aprendosi diffondevano nell’aria andando ad unirlo a quello del Lathyrus odoratus.
Per questo quando ero a metà del primo livello di studio (e nemmeno sapevo se avrei proseguito il cammino) avevo già il set base: suiban, mezzo suiban e vaso alto. E come me il maestro Lucio Farinelli (deve essere per quello che non solo abbiamo studiato assieme, ma lavoriamo con i medesimi intenti ideologici).
Quando nel 2011 organizzammo (io e Lucio) per la prima volta un corso in maniera autonoma si fece una spesa immediata che non si sapeva se sarebbe stata vana o meno (potevamo in futuro non riuscire più ad organizzare degli altri corsi, ma per fortuna non è andata così): comprammo i vasi da dare a lezione agli allievi (ovvero i suiban e i vasi alti più altri per lo stile libero), i kenzan e le hasami. Ovviamente si notava subito chi seguisse davvero con passione (andando a dotarsi di tutta l’attrezzatura necessaria), chi con interesse (ma seguendo solo le lezioni) e chi era venuto tanto per dire che faceva una cosa particolare. A chi è maestro questo salta subito agli occhi, come (spero!) risulti a chi viene da noi di non trovarsi davanti ad un corso casalingo o amatoriale nemmeno quando si fa un workshop perché anche li dotiamo gli iscritti di vasi idonei. Non potrei mai usare dei vassoi di Ikea dove il kenzan è quasi più alto del bordo (e l’acqua che deve coprire le punte del kenzan?) o del materiale che non si “parla” nè per forma o colore perché il “tanto per fare” non è nel mio stile nè mai lo sarà. Nè, per pura piaggeria o interesse, andrei a lodare colleghi che lo fanno. Proprio perché “Anche l’arte ha la sua moralità” e direi che un maestro ha anche una deontologia da tener presente e trasmettere.
(anche questa immagine l’ho prelevata dal profilo Facebook di Silvia Barucci)
Ho sempre ammirato allieve che ogni loro risparmio lo versano lungo il cammino dei fiori, allieve del I livello che hanno partecipato con gioia ad ogni nostra proposta, allieve che ci chiedono di ripetere delle lezioni (come è successo lo scorso sabato) perché comprendi quanto loro siano davvero animate da sincera passione. Non parlo di talento, ma di cuore. Ed è importante perché è il nostro cuore a fare sì che si facciano ikebana e non delle composizioni di fiori. E per tale motivo con gioia e riconoscenza pubblico i loro lavori fatti a lezione con tanto di nome e cognome, perché lo meritano. Non li pubblico come se fossero laovri miei i di anonime persone. L’ikebana trasmette sempre qualcosa, non è solo un esercizio di stile o di tecnica. Non è un equilibrismo, è poesia.
Il terminare i cinque livelli della Sogetsu e diventare Maestro non significa nulla se non ami davvero comunicare e farlo nei migliori die modi. Per me sarebbe tanto più semplice (e la mia schiena martoriata mi ringrazierebbe) portare vassoi invece di vasi, niente annaffiatoio (tanto non si mette l’acqua nel vaso), niente sassi per coprire il kenzan etc. Sarebbe anche facile lasciare che l’allievo faccia a lezione quel che gli pare (così lo rendiamo felice e non rischiamo di perderlo) o smontare il suo lavoro senza considerare la sua idea, ma trasformandolo secondo il nostro gusto. E se all’inizio ci siamo dotati di vasi industriali, poi abbiamo avuto la fortuna di conoscere ottimi ceramisti ed affidarci a loro. Fotografi che ci hanno fatto comprendere come migliorare le nostre foto e il nostro sito (spero nessuno si ricordi dei nostri terribili esordi 🙂 )
In questi giorni di battuta finale per il workshop che abbiamo organizzato per il prossimo ottobre siamo felici di constatare l’interesse suscitato (grazie ovviamente alla professionalità nota delle due maestre coinvolte Ilse Beunen e Anne- Riet Vugts) anche fuori dai confini europei e questo ci ripaga di qualsiasi fatica che stiamo facendo o del fatto che stiamo già organizzando un workshop per il prossimo gennaio ed un altro per l’ottobre 2018…
E proprio perché per me l’ikebana è poesia sono felicissimo che uno dei temi del workshop di ottobre sarà il wabi-sabi in ikebana. Siete uttti invitati a scoprire la bellezza dove non la si penserebbe.
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05/05/17 Boom Beat Bubble
(a sinistra installazione di Sofu Teshigahara a destra opera di Marcel Duchamp)
Quando al MAXXI tenni la conferenza inerente l’ikebana Sogetsu sottolineai come l’arte moderna avesse molto influito sul percorso artistico della nostra scuola. Se l’Occidente ha subito la fascinazione del mondo orientale (vedasi Van Gogh) è innegabile che sia accaduto anche l’inverso (nella conferenza paragonavo alcune installazioni di Sofu alla land art oltre al surrealismo come si può vedere nel montaggio fotografico di apertura del post).
Il connubio arte – ikebana non era una novità, basti pensare alla scuola Ohara e alla composizione Rimpa (un tipo di ikebana ideato dal terzo direttore della scuola, Houn Ohara, e che si basa sulle opere altamente decorative della Scuola Rimpa, che fiorì durante il periodo Edo. L’obiettivo è quello di catturare nell’ikebana le qualità decorative dei materiali e gli effetti complessivi di design tipici delle opere d’arte del Rimpa).
La Sogetsu però pare andare a prediligere soprattutto l’arte occidentale moderna (basti pensare all’incontro tra Sofu Teshigahara e Andy Warhol nel 1970) nel suo sperimentare forme, colori e materiali pur rimanendo sempre nel solco della tradizione secolare dell’ikebana.
Nel regolamento per gli insegnanti viene chiesto non solo di sfruttare le doti personali di ogni appartenente del gruppo, ma di ampliare il proprio sguardo partecipando ad eventi, mostre etc. e per questo coinvolgo sempre le mie allieve in tali proposte, ma accolgo volentieri anche inviti, come quello di ieri, dell’Istituto Giapponese di Cultura per l’inaugurazione della mostra il cui titolo è il medesimo di questo mio scritto.
Riporto il comunicato stampa ricevuto:



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