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Luca Ramacciotti – Sogetsu Concentus Study Group

www.sogetsu.it

Monthly Archives: settembre 2016

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Perché iniziare un post di ikebana con una foto mia con Luca Tommassini che (purtroppo) non fa ikebana?

Perché sabato scorso a Lucca ha presentato il suo libro Fattore T.

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Ovviamente il titolo gioca sul cognome, ma T sta per Talento, argomento principale della sua biografia. Tommassini ha detto due cose, per me fondamentali, durante il suo incontro e che io ripeto sempre mentre svolgo le lezioni di ikebana.

Prima di tutto l’importanza della squadra. Questo è un termine che Tommassini ha ripetuto molte volte, e chi legge il mio blog, e come sanno bene le mie allieve, per me è un concetto di un’importanza vitale.

La squadra (pur avendo un leader, concetto differente da “capo”) è compatta ed offre più possibilità dell’essere singolo, sciolto, che va per conto suo. Ed ovviamente per essere squadra si deve lavorare tutti sempre assieme, non solo quando ci fa comodo o ci interessa.

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La seconda riguarda il talento. Cosa è il talento? Tommasini ha detto che lui non aveva un corpo adatto alla danza eppure ha ballato per Madonna, Diana Ross, Prince, Janet Jackson, Whitney Houston, Kylie Minogue e Michael Jackson. Cosa è che spinse Enzo Paolo Turchi, con la sua grande esperienza, a puntare su quel ragazzo? Il Talento.

Se hai talento tutto viene più “semplice” nel senso che superi sacrifici di qualsiasi genere.

Tommassini ha affrontato molto allenamento, privazioni, ha tentato il tutto per tutto, ma alla base indubbiamente c’era del talento suo che ha fatto sì che, nonostante non avesse un fisico da ballerino, sia diventato non solo uno dei più famosi, ma conteso dalle varie star della musica pop mondiale.

E si ritorna al punto iniziale. Cosa ci incastra anche qui Tommassini con l’Ikebana?

Che da noi ci vuole il fattore…I

Tommassini durante l’incontro ha detto che ha consigliato ad alcune persone che continuavano a fare corsi su corsi di danza (spendendo tempo e denari) di cambiare, che quello non era il loro campo o di non farsi molte illusioni.

Infatti, aggiungo io, di ballerini ce ne sono tanti, di Tommassini no.

Lo stesso accade in ikebana. Le persone studiano, fanno un percorso con impegno, raggiungono alcuni traguardi base e poi? Workshop su workshop e poi?

Prima di tutto l’umiltà. Tommasini scherzando ha detto che la sua compagna fissa è l’ansia, che non è mai sicuro di quello che fa nonostante tutti i successi che ha alle spalle. Perché è un vero e serio professionista. Chi si sente arrivato, bravo, che non ha bisogono di consigli (o li ingolla male) può fare tutti i workshop di questo mondo, ma per dirlo alla toscana rimarrà sempre “ciuccio” (non lo andate a cercare in italiano ha un altro significato, per noi toscani vuol dire asino nel senso di studente svogliato).

Se si partecipa ad workshop per farci vedere e non ci accorgiamo del lavoro svolto dagli altri, se ci sembra che il nostro sia superiore a tutti, o se di workshop in workshop non abbiamo un effettiva crescita artistica, mentiamo a noi stessi aggiustandoci mentalmente il giudizio del maestro (a gente su due workshop ho visto smontare entrambi gli ikebana e questo qualcosa vuol dire)… bè.. manca il fattore I. O almeno quella spinta di “umiltà” che ti spinge ad cercare di essere sempre migliore, di superare i tuoi limiti.

E ritorniamo al primo punto. La squadra. Perché nella squadra ci si confronta, si parla, si discute, ci si scambia le idee. Il singolo è in mezzo al deserto e anche se legge libri, studia o altro non avrà mai un confronto costruttivo.

Perché se Tommassini ha la #tommassinivirtualfamily noi abbiamo l’#ikebanafamily ed è bello stare insieme e comprendere quanto le necessità del gruppo siano superiori a quelle del singolo.

_mg_0312(Ikebana di Luca Ramacciotti – Vaso di Sebastiano Allegrini)

Concentus Study Group

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_mg_0344(Ikebana di Lucio Farinelli – Vaso di Sebastiano Allegrini)

Non prendete questa citazione per autoreferenzialismo dato che è tratta dall’intervista che ho fatto al fotografo Gabriele Micalizzi per il portale Dasapere.it con cui collaboro, ma credo esprima bene il concetto:

“Attraverso lo sviluppo dei social media parliamo più con immagini che con le parole basti pensare anche all’introduzione dell’emoticon. Quindi diciamo che in un futuro prossimo comunicheremo quasi solo con immagini o simboli e non più componendo parole scritte.
Sul fatto che siamo tutti fotografi trovo che sia una cosa positiva, pensiamo solo a quante foto incredibili riusciamo a vedere di situazioni inaccessibili. Mi vengono in mente le vite dei narcos messicani o gli account instagram della Nasa o degli esploratori estremi. “

La citazione va letta nell’ambito dell’intervista perchè ovviamente fa parte di un contesto che inizia (e termina) prima della parte riportata però (non so se in un futuro vivremo solo di immagini, ma dato come la gente scrive forse sarà meglio…) ben delinea il mondo attuale.

Vedo già chi segue il mio blog sospirare: “Ecco un altro post sulla fotografia”. Beh.. sì ^_^

Come riportato nel mio articolo Sofu his boundless world of flowers and Form, il fondatore della Scuola Sogetsu per farsi fotografare i suoi ikebana non chiamò l’amico di turno, ma Domon Ken, il più famoso fotografo giapponese dell’epoca. Non fece un libro di disegni dei suoi ikebana (per quanto sia importante disegnare un ikebana anche per progettarlo) nè di foto qualsiasi. E lui diede lo sviluppo ad un connubio (iekabana e foto) molto sentito nella mia scuola (devo dire più che in altre).

Se si sfogliano le riviste, i libri della Sogetsu si vede con quanta attenzione c’è lo studio di fondali, luci ed inquadrature.

E’ importante per un ikebana la fotografia? Cosa cambia tra una buona fotografia ed una pessima?

Partiamo dal presupposto che si fa ikebana per noi, per la nostra soddisfazione personale e che lo collocheremo in un ben preciso punto della nostra casa/ufficio/hall/galleria etc. Nella scuola Sogetsu infatti c’è una lezione che prevede proprio lo studio dell’ikebana nell’ambiente circostante, che vada perfettamente ad inserirsi.

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Che accade quando lo andiamo a fotografare? La macchina fotografica risponde ai nostri comandi. Come dice saggiamente Franco Fontana “se insegnano ad una scimmia a pigiare il pulsante di una macchina fotografica lei scatterà foto. Saranno buone? No. Perché non le fa ragionando.” (citato a memoria mi perdonino se ci sono inesattezze)

Ecco la differenza sta qua; tra cosa vogliamo comunicare, in quale modo e come si vede la realtà noi attraverso un obiettivo.

_MG_6925Questa foto è stata scattata durante la mostra all’Ara Pacis. Non c’era possibilità di mettere sfondi per cui, memore dei consigli di amici fotografi, ho cercato di mettere a fuoco l’ikebana e sfuocare il contorno. Ci sono riuscito? Sì. Ma quanto fastidio obiettivamente danno le persone dietro? La ringhiera? Quanto distraggono l’occhio in una sovrapposizione di linee e colori?

Torniamo all’ikebana iniziale di Lucio Farinelli.

_mg_0338Lucio lo aveva posizionato così. Gli riconosco la cura nell’accostamento cromatico tra il gambo dell’alchechengi e la cornice del quadro e si vede benissimo il gioco di forme e di colori,

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la prima cosa che noto è il quadro e poi il telefono. Ah l’ombra dietro all’ikebana.

Eppure l’ikebana è lo stesso. Non ho usato ritocchi fotografici o altro. Se uno oggi va a casa di Lucio vede l’ikebana così. Ma il nostro occhio si focalizzerà sull’ikebana andando a “togliere” in automatico quello che non vuol vedere, scordandosi del contesto che la macchina fotografica invece ci pone sullo stesso piano.

Cosa cambia tra la foto iniziale e questa che chiude (contenti? Sta per finire l’ennesimo post sull’ikebana e fotografia) il mio post di oggi? Lucio ha fatto ikebana con i materiali avanzati ad una mia composizione e da una lezione di ikebana. Lo ha fatto per sua soddisfazione. E vuole condividere la sua gioia con altre persone che condividono la sua stessa passione per l’arte dell’ikebana. Voi quale delle due foto mandereste online?

Concentus Study Group

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img_9762(Riccardo Tedeschi e Alessandro Brun di Masque Milano, Luca Ramacciotti, Silvia Barucci, Lucio Farinelli, Nicoletta Barbieri, Ilaria Mibelli)

Ieri a Pitti Fragranze è arrivata una rappresentanza del Concentus Study Group (nella foto iniziale manca Anne Justo anche lei del gruppo) per continuare lo studio dei profumi iniziato con la mostra Essenza, proseguito da me (L’odore è l’intelligenza dei fiori). Questo abbinamento di profumi ed ikebana è interessante e ricco di soddisfazioni sia per coloro che creano i profumi (o li producono) sia per noi che dobbiamo ricreare visivamente un’arte impalpabile e che dona sensazioni diverse da persona a persona.

E la nostra presenza di gruppo era all’insegna del 90esimo anno di vita della nostra scuola andando a sfoggiare le magliette ufficiali.

Dalla scorsa edizione di Fragranze ad oggi (complice Marika Vecchiattini e anche il workshop che tenne a Roma per Ikebana International da me presieduta) il mondo dei profumi inizia ad esserci familiare anche grazie a personaggi splendidi che ci hanno coinvolto trascinandoci nel loro mondo, nelle loro emozioni.

Purtroppo il tempo a disposizione era tiranno (un solo pomeriggio non basta) e abbiamo cercato di seguire il percorso già iniziato, ma anche di scoprire nuove realtà. Il problema è che a volte agli stand si concentrano sui possibili rivenditori e tendeno a trascurare chi è lì per passione o curiosità.

Per fortuna noi abbiamo incontrato e reincontrato personalità stupefacenti che andrò a salutare in rigoroso ordine alfabetico perché son tutte da primo livello.

Antonio Alessandria

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A Pitti ha presentato il suo nuovo lavoro che si chiama Eperdument che “narra” di un’antica tradizione italiana nei primi decenni del dopoguerra, quando i giovani uomini emigravano in terre straniere alla ricerca di una vita migliore e sposavano giovani donne rimaste in terra natia, attraverso l’intercessione di parenti e genitori, in un matrimonio a distanza che doveva colmare le necessità della materia, quando non del cuore. Questa storia narrata da Antonio mentre si assapora il suo lavoro coinvolge e travolge sulle note delicate di finocchietto selvatico, agrumi e fiori bianchi. Un profumo che sa di promesse, di amore, di languori e di luce.

img_9755(© fotografico di Silvia Barucci)

Meo Fusciuni

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Se uno pensa ad un antico profumiere, nel suo laboratorio tra ampolle, fiori essiccati e spezie ecco che quella figura potrebbe essere Meo Fusciuni che ci ha incantato e trasportato in un altro mondo parlando del suo lavoro e facendoci assaggiare i suoi elisir incantatori. Il percorso di Meo è davvero particolare e i suoi profumi coinvolgono a 360° dal cuore, al cervello ai sensi. Ci ha affascinato e sedotti partendo da Odor 93 e Narcotico per poi fuggire sul Rites de Passage, Notturno e Luce. Sentori di erbe, fiori, legni, ricordi.

img_9758(© fotografico di Silvia Barucci)

Homo Elegansa

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(Maurizio Piazzi e Francesco Gini – © fotografico di Silvia Barucci)

Due profumi tanto diversi quanto spettacolari e coinvolgenti. Se Quality of Flash è un colpo all’animo, prende, ti travolge e ti lascia sedotto, Tadzio è una corsa lungo una battima d’estate dove l’adolescenza si lega ai primi palpiti del cuore. Come per i precedenti (ed i successivi) sentir parlare da loro di come è nato un profumo, di come lo hanno concepito e realizzato rende il sentore ancora più intimo ed interessante.

Masque Milano

Essendo l’unica foto di gruppo loro li ho scelti per l’apertura del post. Sempre gentilissimi mi hanno portato sulle note dell’iris e dello champagne attraverso l’assaggio de L’Attesa. Un profumo davvero molto particolare e complesso che affascina come tutti quelli da loro prodotti.

Michele Marin

img_9773(Michele Marin – © fotografico di Silvia Barucci)

Michele Marin (creatore dei due profumi di Homo Elegans) ci ha accolto allo stand di Maison Bereto per farci assaporare le sue candele per ambiente. Definirle però “candele per ambienti” è sminuire un lavoro dove dalla confezione al “contenitore” al profumo si svelano dei mondi sensoriali davvero coinvolgenti e particolari. Sentirlo parlare del profumo, della sua idea, di come ha sviluppato il tutto è davvero emozionante ed interessante per la sua competenza.

Oliver & Co.

Oliver Valverde ci ha raccontato le sue due nuove creazioni. Vaniger colpisce per l’accordo dolce di vaniglia che ha subito un “retrogusto” di polvere di zenzero che la rende non stucchevole e seducente ed Ambergreen presenta un’ambra insolita dove il sentore verde porta verso mondi lontani e freschi. Due lavori molto diversi tra di loro di cui avrei imbarazzo nella scelta. E che da ieri continuo ad assaggiare.

Profumi del Forte

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Qui si va nella mia terra, la Versilia e devo dire che questi otto profumi descrivono benissimo l’eleganza di Forte dei Marmi, la spiaggia, l’estate, la vita notturna. Sentori davvero emozionanti per chi, come me, ha vissuto queste stagioni, per chi le rammenta o per chi vorrà venire a scoprirle.

Segnalo anche Richard Lüscher Britos che ci ha portato per mano nel suo mondo di 32°N 08°E.

Questo mio piccolo excurus è limitato sia per la mia piccola esperienza in questo campo sia perché davvero difficile narrare tutte le emozioni provate ieri, le persone incontrate (Isella Marzocchi in primis che avanza un ikebana da me) che mi hanno salutato davvero con calore e gentilezza come Luca Cavaleri.

Emozioni allo stato puro che continueremo a trasformare in ikebana. Ringrazio tutte le persone che ci han dedicato il loro tempo.

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Concentus Study Group

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